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Innovare non è solo digitalizzare: ecco perchè

di Barbara Weisz

Pubblicato 11 Febbraio 2020
Aggiornato 6 Maggio 2020 09:30

Le misure in manovra 2020 per la digitalizzazione vanno sostenute da una cultura dell'innovazione che vada al di là dell'aspetto tecnologico: la vision di Adriano La Vopa.

Positive le misure in Manovra 2020 per stimolare il digitale ma attenzione: innovare non vuol dire soltanto digitalizzare. Ne abbiamo parlato con Adriano La Vopa, fondatore di SmartAngle, esperto di innovation management, processi aziendali e open innovation.

A margine delle novità introdotte dalla Legge di Bilancio per le imprese che innovano, sono emersi una serie di spunti critici.

«Innovare non è comprare un nuovo Crm (software di gestione clienti), introdurre nuovi applicativi, automatizzare il reparto produttivo con industry 4.0. Innovare è una forma mentale, che deve partire dall’imprenditore, o dal consiglio di amministrazione, e distribuire a cascata su tutti i livelli gerarchici dell’azienda».

«Spesso le aziende non riescono a innovare perché non sanno valutare i trend, vedere le opportunità, determinati cambi di scenari». Invece innovare significa proprio «saper cogliere l’opportunità di collaborare con altre aziende, con i fornitori, condividere risorse, essere open, valutare in tempi stretti».

Nella manovra, prosegue La Vopa, «vedo tanto digitale, e questo mi fa piacere», ma non basta. In Italia ci sono moltissime PMI, che devono soprattutto saper cogliere il cambiamento da una parte individuando i settori di sviluppo, dall’altro agganciare un trend che vede la disintermediazione con le filiere che si trasformano in ecosistemi».

«Un’evoluzione rispetto al tradizionale concetto dei distretti, che devono diventare sempre più glocal. Il distretto deve essere locale, ma capace di giocare a livello globale. Deve evolvere in ecosistema, quindi collaborare, non necessariamente con l’azienda che ho a 100 metri, ma con un ecosistema molto più ampio».

L’ecosistema ha il vantaggio che «se togli un anello della catena, questa si riadatta, e trova delle alternative. Se viene disintermediato un fornitore, l’ecosistema si rigenera, trova nuovi metodi, nuove tecnologie. Detto in parole semplici, «bisogna fare sistema».

Cercando anche di interpretare correttamente i nuovi paradigmi.

Ad esempio: open innovation, «contrariamente a quello che molti credono, non è solo lavorare con le startup. Significa collaborare con gli altri, trovare soluzioni al di fuori della propria azienda. Ci può essere la soluzione più adatta alle proprie esigenze in una startup, ma non è l’unica strada».

E all’occorrenza bisogna anche saper collaborare con il proprio competitor. Come si fa? «Ogni azienda cerca di differenziarsi. Visto in quest’ottica, non ci sono veri competitor. Bisogna imparare a fare più sistema, anche fra concorrenti, ad esempio sviluppando prodotti e servizi insieme. Io ci metto la manifattura, tu i servizi, tu il cloud. E si fa tutto lavorando in maniera più organizzata».

Un altro punto su cui La Vopa è critico è l’approccio del legislatore italiano nella definizione della normativa sugli innovation manager (introdotta dalla manovra dello scorso anno ma operativa da poco).

«Le aziende più smart non sono interessate al voucher». Perché il meccanismo prevede di prendere un consulente, per un periodo determinato, con un compenso fuori mercato.

L’approccio migliore per l’azienda, seconda La Vopa, è invece quello di utilizzare il voucher per fare un po’ di formazione a colui che poi potrà diventare il proprio innovation manager. Quindi, formare risorse interne e permanenti.

=> Innovation management: i processi a supporto

Il panorama italiano vede comunque molte imprese che riescono a superare le difficoltà e che «capiscono la necessità e l’urgenza di innovare, di venir fuori da modelli convenzionali, confrontandosi anche con clienti esteri». Ed in questo le imprenditrici donne spesso rivelano una vision di respiro più ampio rispetto ai colleghi uomini:  «riescono a guardare le cose da punti di vista diversi, leggono molto, si abbonano alle riviste internazionali, fanno corsi di formazione all’estero».

In generale, la formazione è un tema centrale quando si parla di innovazione. Anche in ottica Industria 4.0, dove il lavoro “culturale” deve proseguire.

Sono tutti temi interconnessi: innovazione, impresa 4.0, open innovation, economia dei partner. E sono sfide importanti per le PMI e lo sviluppo del Made in Italy, che esprime un’eccellenza nel mondo basata anche sul saper innovare. Bene, quindi, il Manifesto dell’Innovazione del ministro Paola Pisano (finalmente un ministro dell’Innovazione) perché, è ben ripeterlo, «il primo passo è diffondere la cultura dell’innovazione».