Unioncamere 2011: chi vince e chi perde

di Filippo Davide Martucci

Pubblicato 16 Gennaio 2012
Aggiornato 4 Aprile 2014 11:19

La crisi ha modificato la domanda premiando i comparti legati al risparmio e penalizzando le produzioni artigiane.

Il rapporto di Unioncamere sulla natalità e mortalità delle imprese italiane riferito al primo trimestre del 2011 presenta dati interessanti.

I dati che balzano subito all’attenzione sono quelli riguardanti la progressiva ripresa delle iscrizioni (125.271 le nuove imprese tra gennaio e marzo, 2.177 in più del 2010) e il prolungato rallentamento delle cancellazioni (134.909 nei tre mesi, 4.366 in meno rispetto all’anno scorso), che mantengono pressoché stabile (con uno 0,6%) il bilancio anagrafico del sistema imprenditoriale del Paese, facendo registrare quest’anno il miglior risultato dell’ultimo quinquennio.

La sintesi del quadro Movimprese sottolinea anche la difficoltà dell’Artigianato, caratterizzato dalla massiccia presenza di piccole e medie imprese. In un solo trimestre infatti, hanno chiuso ben 11mila imprese artigiane, migliorando di poco il risultato del medesimo trimestre 2010 (11.492 unità nel 2011 contro le 13.824 del 2010, mentre il minimo è stato raggiunto nel 2009 con addirittura 15.564 unità cancellate).

Come rilevato da Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato, chiude i battenti «chi era marginale, chi era esposto a mercati che sono andati in crisi, chi aveva margini troppo ridotti«. Vista in questi termini, la crisi ha fornito valore aggiunto alle imprese virtuose, che sono quindi riuscite a sopravvivere e anzi a emergere.

Chi vince

«Quello che si sta verificando è più di una redistribuzione, una riqualificazione del mercato. Nelle imprese metalmeccaniche, per esempio, ci si sposta dove c’è più valore aggiunto e chi sopravvive si riqualifica nei prodotti». A suffragare questa interpretazione sono i dati relativi ai micro settori, dove si notano attività che non risentono della crisi e che anzi riescono a crescere con tassi a due cifre.

Prendiamo le imprese manifatturiere: in questo settore si assiste a un leggero calo ma se guardiamo i dati dei singoli comparti notiamo che, per esempio, la riparazione e manutenzione dei macchinari ha potuto contare su un incremento di 931 imprese con un tasso di crescita dell’11,6%. Come si spiega tutto ciò?

Secondo Fumagalli la spiegazione è semplice: da un lato la crisi sta costringendo i consumatori a riparare i beni danneggiati – navi e imbarcazioni (+ 20%), apparecchiature elettriche (+ 45%), prodotti di metallo (+ 52%), altre apparecchiature (+ 55%) – ciò che prima tendevano a sostituire acquistandone di nuovi; dall’altro il mercato dei beni di lusso non conosce crisi e alimenta i certi comparti (riparazione e manutenzione).

Allo stesso modo nel settore delle costruzioni, che complessivamente fa registrare un grave calo nel numero di imprese iscritte, colpisce l’aumento esponenziale (+ 2.800 imprese) nel comparto dei lavori e finitura di edifici, dovuta alla crescita delle attività legate a ristrutturazione e risparmio energetico“.

Chi perde

Questa altalena di valori positivi e negativi purtroppo non riguarda l’artigianato, dove gli indici restano con il segno meno: «la microimpresa non ha paracaduti. Se Alitalia è in difficoltà beneficia di sette anni di cassa integrazione per i suoi dipendenti. Il piccolo artigiano, invece, chiude» ha commentato il segretario generale di Confartigianato.

A Fumagalli ha fatto eco il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, che ha evidenziato le difficoltà dell’Artigianato, sottoposto ancora a grandi rischi (come la stagnazione dei consumi) che ne impediscono la crescita, e la difficoltà di realizzare processi di internazionalizzazione, che aprirebbero loro nuovi ed interessanti mercati.

«Il cammino del Paese per ritornare a crescere – ha affermato Dardanello – passa per le imprese, e i dati di questi primi mesi dell’anno dicono che le forze imprenditoriali vogliono fare la loro parte. Non si spiega diversamente questa lenta ma continua ripresa delle nascite di nuove imprese e la contemporanea voglia di non mollare di quelle che ci sono già».

«C’è una forte e diffusa domanda di politiche di sviluppo che cogliamo in queste dinamiche. Una domanda che non va delusa se non vogliamo restare nel guado tra la sponda della crisi stagnante e la sponda delle economie che, invece, sono già nel futuro. I rischi sono grandissimi e tangibili e li evidenziano i dati del Mezzogiorno, che non progredisce rispetto a un anno fa, e delle piccole imprese artigiane che continuano a pagare un dazio pesante a questa crisi. Il rilancio dello sviluppo – ha quindi concluso – passa tra due paletti: la semplificazione della macchina pubblica, che deve procedere a grandi passi per ridurre il peso della burocrazia sull’impresa, e la promozione delle reti d’impresa, il modello oggi vincente per competere con i nostri competitor».

Le proposte efficaci ci sono, come l’introduzione della Comunicazione Unica, che snellisce il percorso da mettere in atto per avviare l’attività, che ha consentito alle piccole e medie imprese artigiane già nel primo anno di recuperare ben più di 1,5 miliardi di euro grazie al tempo risparmiato.

Inoltre Unioncamere, di concerto con le associazioni di categoria, sta lavorando per costruire un sistema di reti per potenziare le caratteristiche del nostro artigianato, e a questo proposito si è già realizzato un protocollo d’intesa con Confindustria.