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Politiche 2018, verso la riforma del Jobs Act

di Barbara Weisz

Pubblicato 6 Marzo 2018
Aggiornato 12 Giugno 2018 09:48

Elezioni 2018: salario minimo, reddito di cittadinanza e riforma dei contratti nelle proposte di M5S, Centrodestra e Centrosinistra.

C’è un punto di contatto fra i programmi elettorali sul lavoro di M5S e la Lega, i due partiti usciti vincitori dalle elezioni 2018: la proposta del salario minimo garantito per i lavoratori e la volontà di riformare il Jobs Act, che resta anche il punto di riferimento del programma del Centrosinistra. Che è d’accordo con i due avversari sul salario minimo garantito.

Vediamo esattamente punti di convergenza e differenze fondamentali sui temi del lavoro, che hanno probabilmente avuto un ruolo importante nel risultato del voto, soprattutto sulla vittoria dei 5 Stelle e sulla sconfitta del Pd, che intorno al Jobs Act non ha raccolto consensi.

Il programma del M5S si potrebbe definire più di sinistra di quello della coalizione capitanata dal Partito Democratico, mentre quello del Centrodestra oscilla fra il pragmatismo di Forza Italia e gli elementi più innovativi della Lega, che rincorre il partito di Di Maio sul fronte del salario minimo.

Salario minimo

La proposta dei 5 Stelle è la più articolata: il livello individuato è di 9 euro l’ora, ci sono una serie di riparametrazioni previste per applicare la normativa ai livelli retributivi previsti dai contratti, si prevede una sanzione amministrativa a carico dei datori di lavoro che commettono violazioni.

Il programma della Lega per Salvini premier si limita invece a indicare la necessità del salario minimo per contrastare in particolare lo sfruttamento del lavoro. Il segretario del partito nel corso della campagna elettorale ha indicato intorno ai 7 euro la soglia minima prevista.

Infine, il Pd collega l’individuazione del salario minimo a un accordo fra le parti sociali.

Il M5S punta anche sul suo vecchio cavallo di battaglia rappresentato dal reddito di cittadinanza, quantificandolo in 780 euro al mese. E’ favorevole all’equo compenso per i professionisti (per la verità, già previsto dalla legge di Bilancio), alla riduzione delle disparità salariali (con l’applicazione di un coefficiente obbligatorio), alla reintroduzione della causale per i contratti a termine, che dovrebbero anche costare di più all’azienda in caso di mancato rinnovo (con il pagamento di un’indennità aggiuntiva al lavoratore).

Qui potrebbe esserci un punto di contatto con il Centrosinistra, che invece vuole potenziare il Jobs Act, cercando di perseguire l’obiettivo anche incentivando il contratto a tempo indeterminato con nuovi sconti contributivi. Anche questo è punto in comune fra tutte le forze politiche.

Lavoro 4.0

Fra M5S e Centrosinistra c’è convergenza anche in materia di smart working, con la sostanziale condivisione delle norme già inserite nella legge approvata nel corso del 2017. Altre proposte dei 5 Stelle: più risorse per le politiche attive, focus sulla risoluzione di crisi industriali attraverso il cosiddetto worker buyout, ovvero l’acquisto da parte die dipendenti, avanti con la formazione 4.0. Interessante, sul fronte delle politiche del lavoro di Industria 4.0, la proposta di studiare uno status giuridico e fiscale per i robot, che sempre più spesso sostituiranno il lavoro umano.

Il lavoro 4.0 è affrontato anche dalle altre forze politiche: la Lega punta sul sistema duale e su misure fiscale idonee ad affrontare la quarta rivoluzione digitale. Proposta originale: l’introduzione della figura del tutor per accompagnare il reinserimento lavorativo di chi resta disoccupato. Il Centrosinistra propone fra le altre cose un monte ore minimo di formazione individuale per ogni lavoratore.