Risentono della crisi ma mostrano una buona capacità di tenuta, lavorano sul territorio ma sanno guardare all’internazionalizzazione, resta da sciogliere il nodo innovazione: sono i principali risultati dell’indagine della Fondazione Rete Imprese Italia “Gli interessi dell’impresa diffusa in tempo di crisi e le strategie della rappresentanza“.
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Emergono temi chiave, come il rapporto Fisco-imprese, ma c’è anche un altro dato: una sorta di orgoglio di fare impresa, con la coscienza del ruolo fondamentale che le PMI hanno nel Paese.
Vediamo nel dettaglio i risultati dell’inchiesta, svolta su un campione di 2.500 imprese sotto i 50 dipendenti.
Gli effetti della crisi: il 41,5% degli imprenditori segnala un peggioramento delle condizioni di mercato e la difficoltà a recuperare le posizioni perse negli ultimi anni, ma c’è anche un 58,5% con una positiva capacità di tenere testa alla crisi, talvolta ritornando su un sentiero di crescita. In questo secondo gruppo è compreso un 12,4% di imprese che non ha risentito della congiuntura e un marginale 3,3% per cui la crisi è stata addittura un’occasione per diventare più competitivi.
Fra gli elementi di maggior criticità , la perdita di clienti, 35,8%, e la mancanza di risorse e risparmi, 33,5%. Seguono, ben distanziati, il cambiamento radicale della comunità produttiva locale, 18,1%, la solitudine nell’affrontare i problemi, 15,1%, e la sfiducia nelle proprie possibilità , 11,4%.
Quasi la metà delle aziende nel 2011 ha risentito di un calo di fatturato, il 26% ha visto diminuire gli investimenti (stabili però nel 67% dei casi) e il 19,8% ha ridotto i livelli occupazionali (stabili nel 77% dei casi).
Un punto dolente sono le strategie di crescita e, in particolare, l’innovazione. Il 63,6% delle imprese nel 2011 non ha introdotto alcuna innovazione, mentre fra il restante 36,4% sono rari i casi in cui è stata avviata una strategia diversificata. Gettonate soprattutto innovazione di prodotto e di processo, 20%, e acquisto di nuovi macchinari, 18,6%.
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La scarsa propensione ad innovare riguarda soprattutto le micro-imprese, dove l’obiettivo numero uno è il taglio dei costi fissi, seguito dallo sforzo di attirare clienti. Nelle PMI fra i 10 e i 50 addetti, invece, la prima strategia di crescita è l’innovazione, seguita dalla ricerca di nuovi mercati.
Per le PMI il mercato prevalente resta quello locale o regionale, 60%, ma c’è un 38% con un’operatività nazionale e un 19,3% che si misura con il mercato internazionale (la percentuale sale al 38% nel manifatturiero). Per quasi il 10% delle PMI l’estero è il principale mercato di riferimento, (21% nel manifatturiero).
Sul fronte occupazionale, il 39% delle imprese non ha avuto alcun problema, e fra il 60% abbondante che invece ha sofferto, più della metà ha tenuto duro senza effettuare tagli di organico.
Quanto alla situazione strutturale dell’economia italiana, le critiche degli imprenditori si rivolgono soprattutto al fisco, che dovrebbe migliorare per il 77% degli intervistati (le tre priorità indicate: lotta all’evasione, Iva per cassa, riduzione IRAP).
Infine, l’orgoglio di fare impresa (leggi anche: in quali settori mettersi in proprio). Il 66% degli imprenditori ritiene che le PMI abbiano un ruolo fondamentale nello sviluppo del paese, l’83% si dichiara soddisfatto del propio lavoro, il 64% lo consiglierebbe anche ad altri. Le variabili motivazionali dell’imprenditore (leggi come funziona il cervello dell’imprenditore) in Italia, in ordine di importanza: senso di autonomia, opportunità , tradizione, necessità , vocazione.