In Italia è avvenuto solo con alcuni top manager di società pubbliche: congedati dall’azienda con super bonus e stipendi da favola nonostante il passivo accumulato mese dopo mese. Negli Stati Uniti, invece, la cosa inizia a ripetersi con una frequenza che inizia ad allarmare, vista la crisi economica in atto dalla quale molte aziende non sono risucite a emergere.
E oggi, lo scandalo dei super compensi di alcuni manager aziendali – di cui si è dibattutto in televisione e sulla carta stampata americana – ha una sua spiegazione logica derivante da uno studio compiuto da 3 ricercatori di 3 università degli Stati Uniti: un professore dell’Università del Maryland, sulla costa atlantica del Paese; un altro di un ateneo dell’Indiana, nel Midwest, e infine uno del Texas. Tutti accomunati dal voler capire alcuni meccanismi. La prima “mossa” dei ricercatori è stata quella di rivolgersi al Sec, l’organismo di controllo sulle società quotate alla Borsa di Wall Street. Da qui le conclusioni sono state le stesse: alle spalle di questo fenomeno di super gratifica c’è quello che gli addetti ai lavori definiscono “peer benchmarking“.
In altre parole, è un processo secondo cui i consigli di amministrazione guardano a quello che fanno le aziende concorrenti e analizzano gli standard che si sono posti. Per poi agire di conseguenza: nel caso degli stipendi e dei super bonus, si è scoperto che il 90% delle grandi società americane quotate in Borsa, quando ingaggiano un nuovo leader lo compensano tenendo presente quanto è l’importo che percepiscono i manager di aziende rivali, aumentando di qualche centinaia di migliaia di dollari. Anzi: la filosofia è che per attirare i migliori – più o meno come accade in alcuni sport professionistici – occorre pagarli di più per strapparli alla concorrenza.
Ed è per questo che, alla fine, non contanto i risultati effettivamente raggiunti. Pertanto è grazie al peer benchmarking che l’ex CEO di Hewlett-Packard – Leo Apotheker – è stato silurato dal consiglio di amministrazione dopo aver portato l’azienda non lontana dalla chiusura con un “premio” da 13 milioni di dollari, che si sommano a quanto già percepito in appena 11 mesi di permanenza in Hp che, complessivamente, sono superiori all’ingaggio del calciatore più pagato al mondo, quel Samuel Eto’o che ha appena detto sì ai soldi dei russi.
E così, mentre in Italia assistiamo a stipendi dei manager in crescita ma legati ai risultati – come dice una ricerca della Od&M Consulting su 2.000 leader di 140 società quotate in Borsa – nelle maggiori aziende d’oltre Atlantico si assite invece a un fenomeno diverso sintetizzabile così: mentre il potere reale di acquisto dei manager Usa è quadruplicato dagli anni ’70 a oggi, quello dei dipendenti è sceso del 10%.