Chiudere o continuare la propria attività fuori da confini nazionali? E’ questa la domanda che sempre più imprenditori italiani si stanno ponendo in questi tempi di crisi e, stando ad uno studio di Unimpresa in via di pubblicazione, sempre più capi azienda stanno scegliendo la seconda opzione ovvero delocalizzare all’estero i propri insediamenti produttivi.
Gli imprenditori, soprattutto quelli del Mezzogiorno e del Nord Est, scelgono la Serbia, il Montenegro, la Croazia, la Slovenia, l’Egitto e la Tunisia. Il motivo? E’ presto detto: un fisco più favorevole ed un costo del lavoro a livelli più bassi rispetto a quello italiano. Lo studio di Unimpresa spiega che questo fenomeno ha avuto inizio già da qualche anno ma ha conosciuto una fase di accelerazione con l’acuirsi della crisi finanziaria ed economica.
Per Unimpresa a forte rischio “c’è l’attività di trasformazione agricola e l’industria conserviera. Col risultato che sulle nostre tavole arrivano prodotti made in Italy, ma che in realtà provengono fisicamente dall’estero, soprattutto dai Balcani e dal Nord Africa“, nuove destinazioni dove il lavoro è “low cost”.
Per Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, il nostro Paese “ha bisogno di misure ad hoc, senza le quali non riuscirà a sopravvivere in un contesto in cui i concorrenti viaggiano da tempo con un benzina di qualità superiore: e non si tratta dei soliti noti, cioè dei colossi come Germania e Francia, ora dobbiamo guardarci anche da economie fino a poco tempo fa snobbate o considerate non attrattive. La nostra ricetta è nota: fisco, burocrazia, infrastrutture e giustizia civile sono ambiti nei quali, dentro i nostri confini, c’è molto da fare prima di rimettersi a parlare concretamente di creare nuovi posti di lavoro e mettere in moto il mercato dell’occupazione”.
C’è poi un altro sondaggio, che Il Sole 24 Ore ha proposto ai suoi lettori, ai quali è stato chiesto dove andrebbero a vivere in attesa che la crisi che ha colpito l’Europa si attenui. Ebbene: l’Australia – nell’immaginario collettivo – resta la meta ideale almeno per un rispondente su 4 (il 28%), percentuale leggermente superiore a chi invece si è detto pronto a stringere i denti e a rimanere in Italia in attesa che passi la “tempesta”, come ha detto il 24% degli imprenditori.
Sempre valida anche l’opzione Svizzera, che unisce il fatto di essere una meta vicinissima (per i lombardi è addirittura una propaggine della propria regione, con il vantaggio che in Ticino si parla pure la stessa lingua e lo stesso dialetto) col fatto di essere economicamente sviluppata e con una moneta propria che la mette al riparo dalla crisi dell’Euro: la confederazione è stata scelta dal 19% dei rispondenti.
C’è poi un 11% che andrebbe al caldo del sud America e un 7% che sceglierebbe gli “intramontabili” Stati Uniti. Il mondo arabo? Poco gettonato, così come Russia e Cina: solo il 2% andrebbe negli Emirati Arabi e nel Paese europeo mentre il 4% sceglierebbe di stabilirsi all’ombra della Grande Muraglia, dove forse la lingua è un ostacolo ancora insormontabile.