La normativa che regola la fruizione dell’indennità per ferie non godute ha visto in passato l’intervento della Grande Sezione della Corte di Giustizia Europea cui è stata devoluta l’interpretazione autentica del diritto alle ferie annuali retribuite dei lavoratori che si trovino in congedo per malattia.
La “querelle” è sorta a seguito delle contestazioni sulla fondatezza delle istanze in tal senso, avanzate da alcuni lavoratori in Germania e nel Regno Unito a seguito della negazione della fruizione di quanto reclamato in caso di malattia, nonché del relativo indennizzo.
Ferie aziendali: quando spettano
In entrambi i casi, la Corte Europea ha svolto un’attenta analisi sulla reale natura del diritto alle ferie e sulle implicazioni derivanti dalla commistione di esso con altri istituti eventualmente concomitanti, il tutto alla luce della contemporanea disciplina comunitaria e statale.
Quest’ultimo aspetto non è di secondaria importanza, in quanto, attraverso l’adozione della Direttiva 2003/88, il legislatore ha voluto imporre delle linee guida cui attenersi, concedendo agli Stati comunitari solo un certo margine di discrezionalità applicativa che, tuttavia, non deve mai travalicarne i confini.
Tale strumento giuridico, garantito dall’art. 249 comma 3 CE, difatti, risulta estremamente vincolante per quanto riguarda la tutela dei fini ultimi da perseguire, conferendo agli Stati membri solo autonomia organizzativa, ma non totale indipendenza.
Difatti, essi non possono operare in violazione delle finalità soggiacenti alla norma che, complessivamente, mirano a conseguire il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e una maggiore protezione della sicurezza e della salute del lavoratore il quale, in tal modo, riuscirà a godere più pienamente delle ferie ed a rigenerare le energie profuse nel lavoro.
Diversamente, si violerebbe lo spirito dell’art. 24 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo adottata il 10 dicembre 1948 con la risoluzione 217 A (III) dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Anche l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, mediante due convenzioni multilaterali (la n.52 sui congedi annuali pagati, adottata il 24 giugno 1936 ed entrata in vigore il 22 settembre 1939, di poi riformulata dalla n.132 entrata in vigore il 30 giugno 1973 ma ancora aperta alla ratifica), ha cercato di creare una tutela giuridica ad hoc.
Singolare, tuttavia, la metodologia alla quale si è ricorsi per perseguire tale scopo, con interventi vari e disomogenei ma comunque tutti diretti a qualificare le ferie retribuite come un diritto fondamentale.
A chi spettano le ferie
Tra l’altro, tale natura gli è stata riconosciuta anche dall’art. 31 n.2 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che ne sancisce lo status di diritto umano spettante a chiunque, così riflettendo anche le varie tradizioni costituzionali degli Stati Membri.
La tutela di questo diritto estende i propri effetti anche in una prospettiva temporale molto più allargata di quella che si potrebbe immaginare – ossia quelle fruite secondo le tempistiche ordinarie – estendendosi anche a quelle godute successivamente che, comunque, riescono a garantire la sicurezza della salute del lavoratore senza contravvenire ai principi sostanziali della direttiva.
Pertanto, partendo dall’obbligo di osservanza del principio di lealtà di cui all’art. 10 CE, ogni Stato Membro ha l’onere di rispettare le linee fondamentali della direttiva stessa, ricorrendo a metodologie che non ne rendano difficoltosa la realizzazione.
Fortunatamente, lo spirito guida dell’art. 137 n.2 lett. b) rende vano ogni tentativo di attuare una tale tattica: agli Stati Membri, infatti, è concesso garantire una tutela più ampia di quella prevista dagli organi Europei, ma non di limitarla in quanto, diversamente, non si riuscirebbe a perseguire l’obiettivo della politica sociale di miglioramento delle condizioni lavorativo – esistenziali del lavoratore.
Attraverso la parificazione del progresso in materia, stabilita dall’art. 15 della direttiva, si è cercato di attuare l’agognata unificazione dei diritti intracomunitari, per garantire una base minima di misure di protezione e sicurezza dei lavoratori – anche in materia di ferie – da cui non è lecito derogare.
Analogamente, qualsiasi interpretazione volta a considerare perse le ferie non godute a tempo debito sarà ugualmente rigettabile in quanto contraria allo spirito della Direttiva 2003/88 e in quanto indiretta sanzione a carico dell’incolpevole lavoratore che non abbia potuto fruire per cause oggettive del proprio diritto nel periodo di riferimento.
Monetizzazione delle ferie
Diversamente va invece interpretata l’altrettanto spinosa questione della monetizzabilità delle ferie non godute: è possibile e lecito convertire un diritto non goduto in un’indennità, senza contravvenire allo spirito delle norme comunitarie?
In linea di massima no, a meno che, nel frattempo, non sia venuto meno il pregresso rapporto di lavoro (nel quale caso l’unico modo per potere fruire del diritto perduto resta quello di percepirne l’equivalente).
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Nell’ipotesi di cessazione dell’attività lavorativa il lavoratore deve essere messo nella condizione di poter godere di un suo diritto, anche se intanto il rapporto di lavoro è terminato: qualora non possa più giovarsene perché il contratto è finito, deve comunque potersi avvalere di un lasso di tempo nel quale rigenerare le proprie energie prima di intraprendere fruttuosamente un altro impiego, qualunque esso sia.
E se durante le ferie si verifica una malattia che impedisca al lavoratore di esercitare la propria facoltà?
Interpretando il combinato disposto dei dettati di cui all’art. 7 della direttiva 2003/88 ed all’art. 5 n.4 della convenzione dell’OIL, se ne deduce che tale lasso di tempo deve essere equiparato ad un normale periodo di servizio: le ferie continueranno a decorrere al termine della malattia, con la monetizzabilità di quanto non goduto in caso di cessazione del rapporto nelle more o di intervenuta incapacità totale a lavorare.
L’indennità maturata dal lavoratore deve essere calcolata in maniera tale da non porlo in condizione di disparità, con il conseguente mantenimento della retribuzione oraria ordinaria, rilevante anche agli effetti della quantificazione dell’indennità sostitutiva delle ferie annuali non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Volendo fare un parallelismo tra i vari istituti, si potrebbe dire che la malattia costituisce una causa di sospensione del rapporto lavorativo, che lo pone in un limbo senza tempo fino al termine di essa.
Così argomentando, la Grande Sezione è giunta a concludere circa l’insopprimibilità del diritto alle ferie annuali retribuite di cui i lavoratori devono comunque e quantunque godere almeno per quattro settimane, anche se, nell’interim, si sia verificata una causa di cessazione del rapporto di lavoro o una malattia quale causa di assenza giustificata non influente anche nell’ipotesi di compensazione monetaria.
In quest’ultimo caso, infatti, le finalità soggiacenti al diritto alle ferie annuali retribuite e quello del congedo per malattia, si diversificano sostanzialmente in quanto il primo è diretto a consentire al lavoratore di riposarsi e ricrearsi, mentre il secondo mira a conseguire il ristabilimento da una patologia più o meno inabilitante, da cui l’inconciliabilità delle due fattispecie.
Quel che ulteriormente differenzia i due istituti è anche la carenza di regolamentazione comunitaria del diritto al congedo per malattia e del suo esercizio, pur non essendovi alcun elemento ostativo all’adozione di una qualsivoglia norma nazionale che si pronunci in tale materia.
Anzi, perseguendo fattivamente il fine ultimo di concederlo nell’impossibilità di godere delle ferie, in fin dei conti altro non si farebbe che adempiere al dovere di attuare la direttiva comunitaria, in tal modo rientrando automaticamente nell’ambito di competenza degli Stati membri.
Conclusioni
Tanto premesso, l’Organo Massimo è giunto alla conclusione che non si perdono le ferie annuali di cui non si é potuto fruire a causa di una malattia, e al lavoratore spetta un indennizzo per quelle di cui non si è potuto godere neanche a seguito dello scadere del periodo di riferimento o di un periodo di riporto fissato dal diritto nazionale: sia che sia stato in congedo per malattia per l’intera durata o per una parte del periodo di riferimento, sia che inabilità al lavoro comporti la fine del rapporto di lavoro stesso.