Malattie d’azienda: manager nevrotici? Imprese nel caos

di Alessia Valentini

Pubblicato 10 Giugno 2009
Aggiornato 14 Febbraio 2012 12:08

Fino a che punto i comportamenti fallaci del top management influenzano l'azienda fino a farla ammalare? Le tesi degli esperti

Chi pensa che le malattie riguardino solo per le persone fisiche dimentica di considerare le entità giuridiche: in questo caso, i “macrorganismi infettivi” sono quei top manager che, gestendo l’azienda in modo nevrotico, caotico o poco funzionale, ne causano il lento deperimento o anche la “morte per fallimento”!

Sociologi, psicologi della dinamica dei gruppi ed esperti di economia hanno delineato le condizioni che più contribuiscono all ‘ insorgenza di malesseri aziendali e, a lungo andare, della malattia virale o cronica dell ‘ impresa.

Allo stesso modo, hanno identificato le possibili cure, per rafforzare il malato/azienda insegnando ai virus/manager come comportarsi: ovvero tentando di infondere loro cultura e segreti del problem solving strategico come stile di leadership.

Le prime teorie sul comportamento organizzativo risalgono al 1984 ad opera di Kets de Vries Manfred e Miller Danny, che hanno scritto diversi libri sul tema. Le loro teorie evidenziano come gli effetti disturbati sull’organizzazione formale siano da ricondurre agli stili nevrotici di conduzione dei top manager.

Anche Seth Allcorn nel 1991 propone un approccio individualistico, per cui le dinamiche dell’organizzazione potevano essere riconducibili alla personalità dei singoli attori.

Allcorn individua cinque stili di leadership influenzati dalla storia personale del leader, così come le deviazioni organizzative, frutto dei rapporti fra “superstar” e resto dei dipendenti.

Anche i cinque stili nevrotici teorizzati da Kets de Vries e Miller, sono simili a quelli di Allcorn:

Paranoide: diffidenza del vertice verso i dipendenti. Si traduce in esagerato controllo, annullamento del potere di delega, continue riunioni di pianificazione e coordinamento, richieste scritte di report ecc. Il monitoraggio diventa fine a se stesso, con la perdita di capacità decisionale.

Ossessivo: eccessiva preoccupazione per i dettagli (perfezionismo) e pretesa che tutti si conformino al modo di fare “aziendale”, sopprimendo spontaneità e flessibilità. Si traduce in obbligo di straordinari, regole interne legate alla “tradizione”, burocrazia e regolamenti rigidi, con un’ossessione vuota e fine a se stessa che alla fine ostacola la produttività stessa.

Isterico: eccesso nell’espressività delle emozioni, passando dall’esaltazione alla svalutazione degli altri. Si traduce in scelte superficiali, assegnazione inadeguata dei ruoli e reazioni eccessive, perdendo di vista la valutazione reale dei fatti e con un’isteria generale che causa strategie incoerenti con conseguente perdita di redditività.

Depressivo: impera il senso di colpa, inadeguatezza e impotenza. Si traduce in un atteggiamento passivo rispetto agli eventi, con perdita di motivazione e interesse, di capacità di iniziativa, con l’incapacità di rendere l’azienda competitiva lasciandola ferma in posizione di pericolosa inattività, stagnazione organizzativa e assenza di strategie.

Schizoide: distacco dalle attività aziendali con tendenza a rinchiudersi. Si traduce in assenza totale di leadership e organizzazione Ogni del lavoro in “feudi indipendenti”, senza comunicazioni trasversali e condivisione delle informazioni, e con un clima di sospetto generalizzato che ostacola la produzione.

Recentemente Giovanni Carlini, esperto di Marketing, ha condotto una ricerca sulle organizzazioni che si ammalano, mirando anche a individuare le diverse cause, condizioni e conseguenze: comune denominatore, la capacità del management di gestire la struttura.

Le aziende gestite da manager incapaci non sopravvivono, quelle guidate da gestori di successo prosperano. È il mercato a promuovere o bocciare il management attraverso il comportamento dei clienti. Se acquistano o meno i prodotti dell’azienda, determinano il successo o il fallimento dell’impresa, e la rispettiva la “promozione” o la “bocciatura” del suo manager.

L’inizio dei problemi di management nasce, secondo Carlini, dalla diversa valutazione che il generico manager ha di se stesso rispetto al posto che occupa: solitamente sente di meritare e di valere qualcosa in più. Da tale dissonanza cognitiva scaturiscono le valutazioni e gli atteggiamenti sul mondo lavorativo circostante che solitamente causano la degradazione in base a comportamenti ansiogeni.

Lo stesso Carlini che si chiede: «chi ha l’autorità riconosciuta di andare da un amministratore delegato e dirgli che forse sogna ad occhi aperti…assumendo più le vesti di un pericolo per l’impresa che un innovatore?». Quante aziende sono sull’orlo del fallimento se non già fallite esattamente a causa di un AD di questo genere?

La ricerca di Carlini evidenzia l’influenza degli stili errati di leadership sul mancato utile:

Oltre alle evidenti perdite economiche, le conseguenze più gravi di una organizzazione nevrotica riguardano il calo di professionalità dei dipendenti (dato anche dalla mancata formazione continua), mobbing, livelli di turn over elevati, ricorso a contratti a tempo determinato o repentine conclusioni del rapporto di lavoro, fino a maltrattamenti ai danni dei dipendenti specialmente di sesso femminile.

La guarigione è possibile ma passa per il ricorso a professionisti e consulenti esperti in Risorse Umane capaci di analizzare la situazione dall’esterno e giudicare obiettivamente attuando poi un piano di riorganizzazione interna per il recupero dell’azienda.

Un altro intervento riguarda l’attuazione del problem solving strategico promosso in Italia presso lo Strategic Therapy Center (Centro di Terapia Strategica) dal Prof. Giorgio Nardone.

Si tratta di un modello comportamentale che consente di sfruttare e potenziare le proprie competenze comunicative e decisionali e la capacità di risolvere situazioni problematiche, mediante l’utilizzo di tattiche e tecniche che presentano massima efficacia ed efficienza.

Il modello deriva da una branca della logica matematica, la “logica strategica” che consente di approntare il modello di intervento sulla base degli obiettivi prefissati e delle specifiche caratteristiche del problema oggetto di studio, piuttosto che su precostituite teorie tradizionali.

In sostanza, una logica adattiva al problema specifico. Il fondamento del modello comprende anche principi di teoria della comunicazione (G. Bateson), sviluppi costruttivisti della teoria cibernetica (H. von Foerster, E. von Glasersfeld), studi sul linguaggio persuasorio (Milton Erickson) e principi teorico-applicativi della comunicazione approfonditi dal Mental Research Institute di Palo Alto (P. Watzlawick, J. Weakland,  R. Fisch, D. Jackson).

Gli interventi di formazione che il Centro di Terapia Strategica può erogare alla classe manageriale si articolano in 4 categorie: consulenza, supervisione, coaching a manager e formazione a gruppi aziendali con ambiti specifici alla Comunicazione, Cambiamento e Problem Solving.

I metodi di approccio e risoluzione delle problematiche di organizzazione sono frutto di modelli sviluppati in 20 anni di ricerca e studio di casi clinici, contesti organizzativi, aziendali e sanitari.

Per approfondimenti, “La terapia dell’azienda malata. Problem solving strategico per organizzazioni” (Ponte alle grazie) di Giorgio Nardone.