Brexit: come gestire la nuova mobilità internazionale

di Anna Fabi

Pubblicato 23 Gennaio 2019
Aggiornato 21 Febbraio 2019 12:41

Brexit, come tutelare la forza lavoro in mobilità internazionale: consigli per imprese e lavoratori in uscita dal Regno Unito.

Con la Brexit, la rottura definitiva del Regno Unito con l’UE, si prevedono cambiamenti importanti per la mobilità internazionale a fini lavorativi. Questo comporta per lavoratori e imprese, sia europei che lavorano in Gran Bretagna, che britannici operativi in Paesi membri dell’UE, la necessità di analizzare attentamente le opportunità offerte e le differenze in materia di fiscalità e diritto del lavoro. BDO, società di revisione contabile e consulenza alle imprese, offre alcuni utili consigli relativamente al tema Brexit per tutelare la forza lavoro in mobilità internazionale, evidenziando anche i Paesi che potrebbero accogliere la forza lavoro in fuga da UK.

Migrazioni lavoratori italiani

Secondo gli ultimi dati Istat sulle migrazioni internazionali e interne della popolazione italiana residente, pubblicati a dicembre 2018, nel 2017, in cima alla classifica troviamo, con 21.000 emigrati italiani, ancora il Regno Unito, nonostante Brexit e soprattutto a fronte della fiscalità agevolata, seguita dalla Germania con 19.000, la Francia con 12.000 soggetti e la Svizzera dove si concentra il 60% degli espatri italiani verso l’estero.

Nel 2018 è inoltre iniziato un trend, che presumibilmente si confermerà anche nel 2019, che vede molto lavoratori italiani all’estero rilocare la propria sede di lavoro in Italia e molte aziende/ lavoratori esteri indicare il nostro Paese come meta di distacco internazionale, anche grazie agli incentivi statali previsto un favore se cosiddetti rimpatriati. Per attrarre forza lavoro straniera qualificata, i laureati che si trasferiscono in Italia per lavoro hanno diritto a un’esenzione del 50% sulla tassazione dei redditi personali per cinque anni, mentre tale esenzione sale al 90% per quattro anni in favore di ricercatori e insegnanti.

Secondo le analisi effettuate da BDO, tra i Paesi europei che spiccano per agevolazioni rivolte alla forza lavoro estera, vi è però la Francia:

  • per un periodo di 8 anni i dipendenti esteri sono esentati dalla tassazione sui guadagni riferiti a servizi prestati al di fuori dei confini francesi, così come sulle diarie che non formano parte del salario-base;
  • sei contributi di previdenza sociale vengono versati al di fuori della Francia, è disponibile una deduzione al fine di ridurre il guadagno netto tassabile entro i confini nazionali;
  • solo il 50% di dividendi, interessi, utili e royalties è soggetto a tassazione francese;
  • per tutti i nuovi residenti sul suolo francese per un periodo di sei anni esiste esenzione per la tassa patrimoniale per tutti i beni immobili e le proprietà in essi contenuti se situati al di fuori dei confini nazionali.

Uscita dall’UK: cosa valutare

Per un lavoratore in uscita dal Regno Unito per rientrare in un altro Paese UE è sicuramente è importante andare ad analizzare proprio questa tipologia di aspetti ovvero, comparare le aliquote fiscali tra i Paesi di riferimento e le leggi in materia di previdenza sociale, oltre a prendere in considerazione le condizioni socio-economiche del Paese di destinazione (abitazioni, sistema scolastico e sistema sanitario). In parallelo i datori di lavoro dovrebbero assicurarsi di concedere al dipendente il giusto salario, benefit e permessi di lavoro adeguati a mantenere inalterato, se non a migliorare, il tenore di vita che il lavoratore aveva nel Paese di partenza.

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Eleonora Briolini, Partner BDO Tax & Law, spiega:

Ci si aspetta che gli accordi di “divorzio” della Gran Bretagna dall’Unione Europea includano alcune misure eccezionali per talune categorie di lavoratori. In un’ottica di una hard o no-deal Brexit, tuttavia, è possibile che i lavoratori europei saranno semplicemente assoggettati alle medesime regole e restrizioni dei lavoratori immigrati da altri stati estranei all’UE. Allo stesso modo, i lavoratori britannici che vorranno lavorare in uno Stato membro dell’Unione dovranno ottenere dei regolari permessi di lavoro o una residenza di lungo termine. Tutto ciò avrà un impatto su questioni come gli orari di lavoro, contratti temporanei, minimi salariali.

Un inasprirsi del confronto Gran Bretagna-UK non può che portare a un Brexodus, una fuga di forza lavoro qualificata dal Paese. Dipendenti e aziende, in questo momento, stanno temporeggiando nella speranza che la situazione si chiarisca ed emergano le nuove modalità di collaborazione, ma tali accordi tardano ad arrivare. Ci aspettiamo allora un’impennata di lavoratori in fuga dal Paese. Allo stesso modo, le aziende sceglieranno di spostare le proprie sedi in altri Paesi membri dell’Unione Europea. È questo il momento quindi di valutare le opportunità che le norme di altri stati UE possono offrire sia ai lavoratori sia alle aziende per accompagnare il processo di delocalizzazione.