PIR, i chiarimenti delle Entrate

di Barbara Weisz

Pubblicato 28 Febbraio 2018
Aggiornato 14 Marzo 2022 17:48

Circolare Agenzia delle Entrate sui PIR individua paletti sui piani individuali di investimento: investitori e intermediari, tutele sugli strumenti finanziari, limiti di investimento e composizione tipo.

L’Agenzia delle Entrate fornisce una serie di chiarimenti relativi ai piani individuali di risparmio (PIR) introdotti con la manovra 2017: chi può investire e con quali regole, quali gli strumenti finanziari ammessi e norme per gli intermediari. Fra le precisazioni più attese, il divieto di investire in strumenti di finanza derivata, se non in particolari casi e solo a copertura dei rischi.

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Si tratta di investimenti a medio-lungo termine, (periodo minimo di detenzione: cinque anni) destinati alle persone fisiche – che si concentrano su strumenti finanziari ancorati all’economia reale, con una quota che va a potenziare in particolare le PMI – le cui rendite non sono tassate.

Chiarimenti dal Fisco

  • Il regime fiscale agevolato per gli investimenti nei PIR si applica a persone fisiche residenti in Italia che mantengono l’investimento per almeno cinque anni. Se cambia la residenza fiscale, non si applica e si chiude il piano individuale di risparmio.
  • Una persona può essere intestataria di un solo PIR e il piano, a sua volta, non può avere più di un titolare. Il gestore del piano acquisirà, all’atto dell’incarico, la necessaria autocertificazione.
  • Nel momento in cui ha chiuso un PIR, un investitore può diventare titolare di un altro piano di risparmio individuale, anche nello stesso periodo di imposta. L’importante è che non sia intestatario di diversi PIR contemporaneamente.
  • Anche un minorenne può essere intestatario del PIR, in considerazione del fatto che la legge non prevede limiti di età. Se i genitori sono titolari dell’usufrutto, non possono però essere intestatari di un altro PIR. Se invece non lo sono, il soggetto delegato per le posizioni intestate al minore può essere intestatario di un altro PIR.

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Gli intermediari abilitati a costituire un PIR sono:

  • intermediari finanziari residenti o stabili organizzazioni di intermediari esteri abilitati al risparmio amministrato: banche, società di intermediazione mobiliare, fiduciarie che amministrano beni per conto terzi, Poste Italiane, agenti di cambio iscritti nel ruolo unico nazionale, società di gestione del risparmio.
  • imprese di assicurazione residenti nel territorio dello stato, oppure con stabile organizzazione, o ancora con rappresentante fiscale in Italia (che farà da sostituto d’imposta).

Per quanto riguarda i tetti massimi, il comma 101 della legge prevede un investimento complessivo massimo di 150mila euro, con un tetto annuo di 30mila euro. Tale limite  riguarda l’anno solare e può essere raggiunto facendo diversi investimenti nel corso dell’anno (sempre, senza superare la somma limite consentita).
Non è previsto un arco temporale prefissato per il raggiungimento del tetto complessivo. Quindi, è possibile investire meno di 30mila euro in un anno e destinare la parte non investita ad anni successivi: in questo caso, visto che comunque non si può mai superare questa soglia nell’arco dell’anno solare, ci vorranno più di cinque anni per raggiungere il tetto complessivo di 150mila euro.

Esempio: investimento nel primo anno di 10mila euro. Nei quattro anni successivi invece si investono nel PIR 30mila euro all’anno. I 20mila euro che mancano al raggiungimento della soglia di 150mila euro possono essere investiti successivamente al quinto anno.

I redditi che derivano dagli investimenti confluiti nel PIR non devono necessariamente essere reinvestiti nel piano. Se invece questo succede, sono considerati nuovi investimenti, che quindi rivelano ai fini del rispetto del plafond di 30mila euro annui.

Tipologia di investimenti

Gli investimenti oggetto del piano devono avere determinate caratteristiche, dettagliate nel comma 102 della manovra. Per almeno il 70% devono essere investimenti qualificati, ovvero strumenti finanziari, anche non negoziati, emessi o stipulati con imprese residenti nello stato, o in stati UE o dello Spazio Economico Europeo (Norvegia, Islanda e Liechtenstein), con stabile organizzazione in Italia. Dal primo gennaio 2018 sono compresi anche gli strumenti emessi da società immobiliari (esclusi invece nel 2017).

Il restante 30% è rappresentato invece dalla cosiddetta quota libera, che quindi può comprendere anche investimenti non qualificati. Qui c’è un’importante precisazione relativa agli strumenti finanziari derivati, che nella maggior parte dei casi non sono ammessi in generale nei PIR, nemmeno nella quota libera del 30%. L’unico caso in cui è ammesso l’utilizzo di derivati, comunque limitato alla quota libera del 30%, è quello di investimenti attraverso OICR PIR compliant. In questo caso, i derivati possono servire a coprire il rischio relativo agli investimenti qualificati inseriti nella quota del 70%. Anche qui ci sono dei paletti: i derivati possono essere solo di copertura. Quindi, se i redditi da derivati eccedono l’ammontare necessario per la copertura delle perdite degli investimenti qualificati, la parte eccedente non sarà agevolata fiscalmente.

All’interno della quota del 70% di investimento qualificato, come è noto, il 30% deve essere rappresentato da strumenti finanziari emessi da società non comprese nell’indice Ftse MIB di Borsa Italiana o su indici equivalenti di altre borse. Quindi, sono ad esempio comprese le società quotate sull’AIM Italia, sul segmento STAR di Piazza Affari o sul listino principale ma non comprese nelle 40 blue chips inserite nel Ftse Mib.

Fra gli indici equivalenti delle principali borse estere (su cui quindi non possono essere quotate le imprese a cui si riferiscono gli strumenti finanziari dei PIR), il FTSE 100 inglese, il DAX tedesco, il CAC 40 francese, l’AEX olandese, l’IBEX spagnolo, il PSI 20 portoghese. Sottolineiamo che questa è la norma che interessa in particolare le PMI, verso le quali viene in questo modo convogliato una parte del risparmio dei PIR.

La composizione sopra descritta deve essere rispettata per almeno i due terzi dell’anno, che significa 243 giorni. Nel caso in cui il PIR sia istituito nel corso dell’anno, il limite dei due terzi di riferisce alla porzione di anno del piano (dalla data di apertura del PIR al 31 dicembre). Esempio: costituzione del PIR il 30 giugno: il vincolo della composizione va rispettato almeno 122 giorni (i due terzi dei 184 giorni complessivi di attività del PIR nell’anno).

Il periodo minimo di detenzione dell’investimento, pari a cinque anni, si calcola in base alla data di acquisto degli strumenti finanziari, con il versamento delle relative somme, non quella in cui viene sottoscritto l’impegno all’investimento.