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E-Commerce: legislazione UE per consumatori e PMI

di Andrea Boscaro

Pubblicato 10 Febbraio 2012
Aggiornato 5 Giugno 2013 16:16

Raddoppiare il volume delle vendite online entro il 2015 vuol dire crescita e occupazione, ma l'addebito delle spese di spedizione ai venditori è rischioso.

Raddoppiare il valore del commercio elettronico europeo entro il 2015 in sedici mosse: questo è l’ambizioso obiettivo che si è dato il commissario europeo Neelie Kroes – propensa ad incentivarlo a livello continentale e nazionale – rinforzandolo con un dato che ne afferma tutta l’importanza: per ogni posto di lavoro che si perde a causa del paradigma digitale se ne creano 2,6 e questo dimostra la rilevanza del tema ai fini dello sviluppo e dell’occupazione.

Direttiva UE sul commercio transnazionale

Il peso dell’e-commerce sul commercio in generale che deve raddoppiare rispetto all’attuale 3,4% e sul PIL continentale, oggi al 3%.

L’altra grande argomentazione a supporto è la concorrenza del sistema economico cinese che ha preso di mira – dal grande marketplace Alibaba ai tanti siti online di contraffazione – il nostro mercato, con iniziative sempre più localizzate ed intense e che punta a superare nel 2015 lo stesso mercato online americano.

Il commercio elettronico unitario, per potersi tradurre in una leva strategica, deve però essere trans-nazionale ed ecco perché il Commissario pone particolare attenzione gli aspetti della tutela del consumatore e della logistica che, fino ad oggi, hanno inibito la realizzazione di un vero e proprio mercato comune in quest’ambito.

Diritto di recesso

Per fare questo saranno sempre più rese omogenee le legislazioni nazionali in termini di informazione al consumatore dei suoi diritti, fino a portare il diritto di recesso ad almeno 14 giorni per tutti i Paesi: in Italia oggi è a 8 ed è spesso un tema che frena l’adozione di pratiche e-commerce ad aziende B2B non abituate a gestire processi simili dal punto i vista amministrativo e contabile.

Costi di spedizione

Il secondo grande ambito che l’Unione Europea vuole rivedere è l’addebito al fornitore dei costi di spedizione per ordini superiori i 40 euro: un elemento che non mancherà di essere contestato sia perché di fatto iniquo rispetto alla vendita offline (il cliente sostiene i suoi costi di spostamento anche se spesso non si rende conto di quest’onere) sia perché lede il margine del venditore già decurtato dei costi legati, ad esempio, ai pagamenti e che possono superare il 3-4% del valore della transazione: bene ha fatto in questo senso però il Governo italiano a mettere recentemente un tetto al 1,5% con la manovra recentemente approvata.

Rischi per le PMI

Il rischio di quest’ultima norma è quella di favorire ancora una volta le grandi aziende ed i grandi operatori come Amazon anziché incentivare le PMI a testare il canale digitale: perché valga nella pratica quell’effetto leva che dicevamo all’inizio. Staremo a vedere come si tradurrà nella pratica il piano del Commissario. Quel che è certo è che, contestualmente, deve essere resa più efficiente – soprattutto in Italia – l’offerta dello spedizioniere pubblico e meno onerose, soprattutto nei servizi accessori, le condizioni praticate dai carrier privati.

Quanto al tema della contraffazione, questo fenomeno – che ogni giorno non manca di vedere notizie di cronaca che vedono azioni criminali prepararsi ad attività online – deve però essere affrontato in modo più deciso perché costituisce un freno nei confronti di produttori ancora restii a trovare il giusto equilibrio fra l’assenza di una strategia digitale ed un possibile conflitto di canale dettato da una improvvisata iniziative e-commerce.

Quanto detto sopra non significa che le aziende non debbano avvalersi dei marketplace – Amazon, Pixmania, eBay tanto per citare i generalisti – ma che debbano guardarli sia come a una formula per testare il canale digitale sia come uno strumento da integrare in un marketing mix che preveda, con modalità appropriate, anche una presenza autonoma: l’e-commerce diventerà ancor più infatti un canale distributivo, oltre che uno spazio di comunicazione e di relazione con i clienti, che non potrà essere completamente dato in outsourcing ad aggregatori e potenziali concorrenti.

Benefici del piano UE

Il piano europeo, al netto della raccomandazione sulle spese di spedizione, è pertanto da lodare e da far proprio soprattutto in Italia sia per la nostra tradizionale vocazione all’export sia perché i nostri prodotti e servizi a maggior valore aggiunto si rivolgono a mercati perlopiù maturi dal punto di vista dell’uso della Rete. Il fatto che il turismo online da parte delle aziende non sia la categoria con il maggior tasso di esportazione (si tratta del comparto moda e abbigliamento) la dice lunga su quanta strada vi sia ancora da fare.

Lo stesso governo italiano sta procedendo con apparente determinazione su questo fronte sia con il già menzionato abbassamento della commissione bancaria sui pagamenti online sia con le recenti affermazioni legate all’Agenda Digitale: lo sblocco dei fondi sulla banda larga hanno infatti una relazione proporzionale con lo sviluppo delle transazioni in virtù di una più incisiva familiarità sviluppata dai consumatori rispetto alla navigazione e di maggiore possibilità per le aziende di dirottare investimenti verso progetti digitali.

Da aggiungere inoltre l’importanza della banda larga per la più chiara adozione di tecnologie di cloud computing che rendono più sicure e scalabili le attività immaginate. Il fatto che, fra le priorità nell’assegnazione dei fondi legati all’Agenda Digitale è un’altra buona notizia: ci auguriamo che siano davvero una leva di sviluppo per questo territorio.

In tempi di forte ancoraggio all’Europa, non possiamo pertanto che guardare ancora una volta a Bruxelles come fattore di cambiamento, pur auspicando che la voce delle aziende italiane sia ascoltata e che la specificità del nostro mercato venga valorizzata come merita.