La cattiva personalizzazione

di Chiara Basciano

3 Novembre 2017 12:00

Sapere leggere i dati, la sfida della customer intelligence che lascia insoddisfatti.

I clienti ormai sanno che i dati che li riguardano vengono utilizzati dalle aziende e non si preoccupano più dei problemi relativi alla privacy avendo capito che essi vengono utilizzati principalmente per garantire una personalizzazione della comunicazione.

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Ma a questo punto i clienti pretendono tale personalizzazione ma il più delle volte rimangono insoddisfatti. Secondo la ricerca condotta da Sitecore in collaborazione con Vanson Bourne è addirittura il 96% dei clienti intervistati a parlare di cattiva personalizzazione. Nel dettaglio le problematiche più importanti rilevate dai clienti riguardano informazioni obsolete su di loro (59%), informazioni errate (57%), valutazioni basate su ciò che i consumatori desiderano sulla base di singole interazioni (54%).

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Ne deriva un’insoddisfazione del cliente. Da parte loro le aziende hanno grandi difficoltà a gestire i dati a causa della grande mole, basti pensare che sono otto i diversi tipi di dati raccolti sui clienti. Le difficoltà maggiori risiedono nell’incapacità di integrare la raccolta di informazioni per il 42% delle aziende intervistate, nella mancanza di competenze necessarie ad analizzare i dati per il 31%, nella mancanza di una tecnologia adeguata per il 20% e in quella necessaria per custodire i dati per il 15%.  Solo il 12% è in grado di raccogliere i dati online a livello individuale.

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Vista la cattiva personalizzazione riscontrata si alza la percentuale dei clienti restia a condividere le informazioni che li riguardano, arrivando al 60%. I brand da parte loro considerano una customer intelligence adeguata una capace di vedere i clienti a livello individuale, per il 61%, che fornisca informazioni in tempo reale per il 55% e che fornisca un’integrazione sui vari canali per il 37%.

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