Clonazione di bancomat e carte di credito, ma anche addebiti per servizi o prodotti mai acquistati e mai richiesti, contratti mai effettuati. Sono tutti esempi di reati che derivano da quello che si chiama furto d’identità, un vero e proprio business mondiale con un giro d’affari miliardario, ma che gli italiani conoscono poco e dal quale non sanno difendersi adeguatamente.
E il risultato è che nel 2010 circa un italiano su quattro ne è rimasto vittima. I dati sono contenuti in un’indagine realizzata dall’Unicri, l’organizzazione dell’Onu che si occupa di prevenzione del crimine (acronimo per United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute), per la filiale italiana di CPP, multinazionale attiva nei servizi di prevenzione dalle frodi.
È stata svolta un’inchiesta su 800 persone fra i 25 e i 60 anni, da cui si rileva una scarsa preparazione: uno su cinque non saprebbe a chi rivolgersi nel caso gli succedesse, solo il 4% si definisce molto informato sull’argomento. Nel 2010 quasi il 26% degli italiani è stato oggetto di un tentativo, riuscito o meno, percentuale che corrisponde a circa otto milioni di persone.
Un terzo circa degli italiani, il 31,1%, conosce il pishing, la tecnica con cui si inviano delle finte mail, che assomigliano in tutto e per tutto a quelle per esempio della banca, e che vengono usate come esca per farsi dare dei dati. Chi è stato vittima di questo reato spesso reagisce dimostrando un’improvvisa diffidenza per strumenti quali l’e-commerce (il 18% non lo usa più per timore di ripetere l’esperienza).
In generale, solo il 38,9% si definisce molto preoccupato di questo fenomeno. E anzi l’80% lascia tranquillamente online nome, cognome e indirizzo email, numero che sale al 92% nel caso dei giovanissimi. Mentre una persona su tre lascia anche il numero del cellulare.
In generale, comunque, spiega Angelo Pascarella, analista, «c’è una confusione sulla frode e il furto d’identità» per cui «la frode spaventa, il furto d’identità no».
Eppure si tratta di un business molto redditizio. In Gran Bretagna ha totalizzato ricavi di 3,1 miliardi di euro nei primi dieci mesi del 2010. In Italia, secondo un’indagine Abi, il fatturato del settore è compreso fra 1,6 e 2 miliardi. E secondo Raoul Chiesa, esperto informatico dell’Unicri, «quest’anno e il prossimo il fenomeno esploderà, complice anche l’uso sempre più intensivo dei dispositivi mobili per andare su Internet». Secondo Chiesa, a livello globale i ricavi di questo crimine hanno superato quelli dei traffici di armi e di droga.
Fra l’altro, le tecniche sono sempre più sofisticate. Ad esempio sta prendendo piede il “vishing“, ancora poco diffuso in Italia (ma invece presente in America e in Asia), che unisce il pishing al Voip, utilizzando quindi le telefonate che passano da internet. Può succedere che il truffatore si spacci per un addetto della banca (e sul display appare il vero numero dell’istituto di credito), chiedendo informazioni sensibili.
Il consiglio numero uno per difendersi è evidentemente quello di proteggere i proprio dati, non diffonderli via internet, non fornirli a persone che non si conoscono.