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Parità di retribuzione: diritti e limiti di privacy della Direttiva UE

di Teresa Barone

3 Ottobre 2023 09:10

La direttiva europea sulla parità salariale tra generi concede diversi diritti ai candidati e ai lavoratori ma senza ledere la privacy dei colleghi.

La Direttiva UE sulla parità salariale (EU Pay Transparency Directive 2023/970), si propone di ridurre il divario di genere e, una volta recepita nell’ordinamento nazionale (gli Stati Membri dovranno farlo entro il 7 giugno 2026), dovrà essere rispettata dai datori di lavoro del settore privato e pubblico.

Annunci e offerte di lavoro: parità e trasparenza

Una volta recepita la Direttiva UE, gli annunci di lavoro dovranno riportare informazioni sul livello retributivo iniziale in fase di assunzione o sulla fascia attribuibile alla posizione offerta, sulla base di criteri oggettivi e genericamente neutri. Queste informazioni dovranno per lo meno essere fornite nella risposta al candidato che manifesta interesse.

A questi candidati verranno comunque fornite, in sede di colloquio, le medesime informazioni senza che sia l’aspirate lavoratore a doverle chiedere.

Assunzioni e contratti: trasparenza e privacy

Come precisa Joelle Gallesi, Managing Director di Hunters Group, la direttiva per la parità di stipendio, si basa su tre punti chiave:

  • i candidati avranno diritto di ricevere informazioni sulla fascia retributiva relativa alla posizione specifica;
  • non sarà possibile chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni attuali o precedenti in fase di colloquio;
  • i lavoratori potranno chiedere informazioni sul proprio livello retributivo e su quelli medi delle categorie che svolgono pari mansioni, con i criteri utilizzati per determinare livelli retributivi e avanzamenti di carriera.

Sarà possibile chiedere al datore di lavoro di conoscere le retribuzioni medie aggregate dell’azienda, ripartite per genere e per categorie equiparabili, ma bisognerà rispettare la privacy individuale dei colleghi.

Ricordiamo che, a livello aziendale, in Italia già esiste un obbligo di reportistica sulla parità di genere (previsto dalla legge n. 162/2021) per aziende con oltre 50 dipendenti, con cadenza biennale. Inoltre, alle imprese che presentano la certificazione della parità, è concesso in Italia un esonero contributivo.