La classe dirigente dovrebbe essere sempre consapevole delle compatibilità economiche, così come delle norme etiche e dell’importanza di avere come obiettivo primario la crescita della propria azienda come presupposto dello sviluppo economico di tutto il Paese.
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Un concetto espresso recentemente da Giorgio Ambrogioni, presidente della Cida (federazione dei dirigenti), intervenuto su un tema molto dibattuto soprattutto alla luce dei recenti dati relativi alle retribuzioni da capogiro dei top manager delle aziende nazionali.
«Noi lo sosteniamo fin da tempi non sospetti, prima insomma che ci fosse questa sollevazione popolare: le retribuzioni abnormi, i megabonus e i superpremi, sono un assurdo. Qualcosa che distorce i meccanismi di mercato, distrugge risorse senza ragione, non giova al buon nome della categoria dei manager».
Secondo Ambrogioni, inoltre, non solo si tratta di compensi spesso non corrispondenti alle reali performance dirigenziali, ma è necessario sottolineare che per la grande maggioranza dei dirigenti italiani la situazione retributiva è del tutto differente:
«Sono stipendi in media di tutto rispetto, certo, ma ben lontani dagli eccessi di cui leggiamo. Soprattutto, la quota variabile, quella che spesso serve come chiave per gli arbìtri più incomprensibili, è tenuta abbastanza sotto controllo, di solito entro il 15% della retribuzione».