Nel tempo abbiamo visto come Facebook sia cresciuto e abbia iniziato a puntare anche sulle utenze business, tra cui le piccole e medie imprese.
Gli utenti registrati si moltiplicano ogni giorno e forse Facebook è oggi il social network più conosciuto e frequentato da utenze di tutti i tipi. Basti pensare che solo il gruppo “Facebook for Business” conta oggi oltre 20.000 iscritti.
Caratteristiche queste che lo rendono un ottimo strumento marketing e recruiting. Facebook sta infatti battendo gli altrettanto noti LinkedIn, Xing e Viadeo sul campo della ricerca di lavoro e di candidati adatti alla propria azienda. I siti sopracitati ultimi sono ritenuti più “professionali” ma, proprio per questo, non consentono ai futuri datori di lavoro di andare a “spiare” tutto ciò che riguarda anche la vita privata (che niente ha a che fare con il lavoro) dei candidati.
Proprio questa è l’arma a doppio taglio di tale meccanismo. Infatti, se non si impostano opportunamente le opzioni legate alla privacy, qualsiasi sconosciuto può accedere a tutte le informazioni, a volte sconvenienti, che ingenuamente vengono pubblicate.
L’allarme arrivato da alcuni media statunitensi, preoccupati per i danni alla carriera che possano derivare da questo tipo di informazioni.
Ma, ci chiediamo: è giusto da parte dei reclutatori indagare nella vita privata del personale da assumere? Ed è giusto valutarlo in base alle proprie abitudini personali (anche se talvolta possono essere ritenute discutibili)?
E ancora: è giusto che un capo d’azienda “approfitti” di Facebook per sbirciare nella vita privata dei suoi dipendenti e per questo lasciarsene influenzar anche sul lavoro?
Quanto queste pratiche costituiscano violazione alla privacy è tutto da stabilire, essendo in pratica una scelta individuale quella di rendere pubbliche immagini e informazioni personali.
Quel che è in discussione è il diritto di utilizzarle e far sì che queste abbiano ripercussioni sull’opinione professionale di una persona, limitandone la libertà .