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Crescono le imprenditrici mediterranee in Italia

di Paolo Iasevoli

Pubblicato 27 Febbraio 2007
Aggiornato 3 Ottobre 2013 12:48

Le imprese aperte da donne mediterranee in Italia sono ancora poche ma in costante crescita, per un fenomeno che non è solo di carattere economico...

Una recente ricerca condotta da Feder Manager aveva già evidenziato come le donne dirigenti fossero in decisa minoranza rispetto ai loro colleghi uomini (appena un 5%) e lo studio pubblicato oggi dalla Camera di Commercio di Milano conferma lo squilibrio tra i sessi, estendendo l’analisi alla struttura della componente femminile.

L’indagine ha infatti come campione le donne dell’area mediterranea che aprono un’impresa nel nostro Paese: queste rappresentano soltanto l’8% dei nuovi imprenditori, anche qui segnando un netto distacco dagli uomini.

Tuttavia le imprese aperte da donne extracomunitarie risultano in forte crescita, essendo aumentate del 134% negli ultimi 5 anni e del 16,9% nel solo 2006. Le più attive di tutte sono le imprenditrici marocchine, con oltre 3.000 imprese attive mentre le libiche sono quelle che danno più filo da torcere ai loro connazionali maschi: 1 impresa su 5 in Italia appartiene a una donna.

Il fenomeno sembra essere concentrato nelle regioni settentrionali, in particolare in Lombardia (oltre 700 ditte) e Piemonte (617). Primo posto per la provincia di Roma con 446 imprese aperte da donne mediterranee. Seguono prevedibilmente le provincie di Torino (403 imprese) e Milano (386).

Per quanto riguarda i settori, in quello dei trasporti le mediterranee tengono il passo delle altre imprenditrici extracomunitarie (1 su 4), ma è il commercio il settore più popolato, con oltre 3000 imprese.

Secondo Gianna Martinengo, presidente del Comitato per la Promozione dell’Imprenditoria Femminile della Camera di Commercio di Milano, il fenomeno va ben oltre il carattere meramente economico. Infatti «la piccola impresa si dimostra una via tutta italiana all’integrazione e all’emancipazione femminile. Un percorso esigente che obbliga l’immigrato a rapportarsi con i clienti, i fornitori, le istituzioni» rendendolo «protagonista della vita del territorio».