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La formazione dei manager in azienda

di Roberto Berruti

Pubblicato 26 Maggio 2008
Aggiornato 1 Giugno 2015 08:58

Competenza, comunicazione, competività: sono queste le tre parole d'ordine che definiscono le qualità essenziali di un ottimo manager

La qualità dei manager presenta ancora rilevanti margini di miglioramento, in particolare nelle situazioni in cui l’azienda risenta ancora dell’opera del fondatore e il suo futuro sia affidato ai suoi successori genetici. Ebbene in queste situazioni per fare il salto di qualità, specie se si intenda cimentarsi con il mercato globale, è necessaria una attenta formazione dei manager. Questo è un tema sul quale è opportuno riflettere di continuo. Al di là di facili slogan, infatti, il mondo del lavoro presenta caratteristiche sempre più segnate da costante cambiamento.

I modelli non si radicano, piuttosto ne generano altri in perpetua evoluzione e ciò obbliga chi dirige a pensare dinamicamente. Mai come oggi l’idea della formazione continua ha bisogno di essere sviluppata concretamente giorno per giorno a tutti i livelli funzionali e gerarchici. L’incertezza che caratterizza la realtà odierna permette di mantenersi appetibili sul mercato, anche su quello interno alle aziende, solo se ogni attore – innanzitutto i manager – si percepisce come un soggetto non fermo nelle sue conoscenze e nel ruolo, ma in continuo movimento.

Competenza, Comunicazione, Competitività: queste ritengo siano, in sintesi, le tre essenziali qualità di un manager. E si rifletta, finalmente, sul fatto che le aziende hanno bisogno soltanto di “ottimi” manager. La carenza di qualità, infatti, non può che riflettersi negativamente sulla capacità di produrre reddito dell’intera impresa. Le tre qualità di cui parlo sono interdipendenti tra loro: e se ci si riflette bene, la cosa non è così ovvia, ad esempio, se si pensa a quanti sono tecnicamente competenti e ipercompetitivi ma con scarse doti di comunicazione: questi manager perseguono tenacemente i propri obiettivi di budget con gli strumenti tecnici che conoscono assai bene (magari anche meglio di altri) ma le carenze di comunicazione limitano e condizionano il loro successo. Una certa vocazione autoritaria che si rileva in tali casi non sorregge il carisma e invece mortifica il senso di appartenenza e lo spirito di squadra.

D’altro canto se è carente (o limitato/approssimativo) il requisito della competenza si verificano altri problemi: grandi iniziative di comunicazione (questionari, interviste al personale, ecc.) con forti spinte alla competitività non sorrette da una adeguata competenza, auspicabilmente maturata sul campo oltre che nei master, disorienta i collaboratori perchè appare lontana, troppo lontana dalla realtà del mercato, dai processi produttivi e quindi dalle problematiche di chi vi opera. Purtroppo, le peggiori discrasie si registrano nel campo della gestione delle risorse umane: un tempo c’erano direttori del personale con formazioni “ruspanti” maturate sulle linee di prodotto, privi di ogni competenza di tipo tecnico-giuridico ma ottimi comunicatori e competitori; poi con l’avvento della valanga normativa a tutela del lavoro subordinato ecco dei quasi avvocati diventare capi del personale, incuranti della competizione e pessimi comunicatori (a parte qualche felice eccezione), a cui sono seguiti gli psicologi, una generazione di responsabili che puntano tutto sulla comunicazione e sulla competitività e nulla, quasi nulla (ed è disarmante) sulla conoscenza delle leggi.

Un altro punto debole è dato dalla provenienza dei manager: sempre più spesso, infatti, le società di revisione, gli studi di consulenza organizzativa, le associazioni di categoria sono il trampolino di lancio verso importanti posizioni aziendali. È senz’altro legittimo attingere alle grandi competenze specialistiche in tal modo reperibili, ma gli stessi dovrebbero saper cogliere l’importanza di rapportarsi globalmente con l’azienda nella quale vanno ad inserirsi.
Un conto è vedere un’azienda dall’esterno, un conto è dirigerla. Ecco quindi che il percorso formativo dell’ottimo manager deve puntare sul mantenimento e aggiornamento continuo delle competenze, della capacità di comunicare e delle strategie per essere competitivi.

La scelta dei formatori, ovviamente, deve essere accurata, e qui si innesta il lavoro del responsabile della formazione o dell’associazione di categoria o della società di consulenza che affianchi l’azienda in tale settore. Al riguardo richiamo l’attenzione su FOR.TE. e FON.DIR., attraverso i quali è possibile erogare formazione su vasta scala per progetti mirati a copertura di ogni categoria di personale. I piani sono pubblicati periodicamente. Per le modalità si faccia riferimento ai siti www.fondoforte.it e www.fondir.it.

Passando alle caratteristiche tecniche della formazione, ritengo che la formula del workshop sia la migliore, perchè crea e assiste la capacità di tradurre in applicazioni concrete le novità sulle quali informa e forma. È meglio, a mio avviso, evitare o limitare al massimo la partecipazione ai convegni in cui si succedono relatori su relatori e preferire invece iniziative con un numero più ristretto di partecipanti in cui, dando per acquisiti i principi della materia di cui si parla, si pongano intorno ad un tavolo le persone e le si addestrino a sviluppare un tema trattando un caso di scuola il più verosimile possibile.

In tal modo, ad esempio, un nuovo modello organizzativo di una rete di vendita sarà più comprensibile, una nuova legge sarà applicata materialmente effettuando simulazioni di casi concreti. Lo si è visto all’epoca della partenza delle leggi sulla sicurezza del lavoro o di quelle sulla privacy o sulla legge Biagi: in azienda si ha bisogno di sapere cosa scrivere, dove notificare, a quale ufficio pubblico rivolgersi e con quali modalità; e troppe incognite attendono chi abbia solo una conoscenza teorica delle cose. Occorre poi dedicarsi alle tecniche di comunicazione. In questo campo in cui è la persona il centro della competenza, vi sono infinite strade.

L’ottimo manager è tale anche per la sua dote comunicativa e questo si vede sia nella costruzione del team di collaboratori sia nei rapporti con gli altri responsabili. Buon comunicatore è chi riesce a stabilire linee di intesa ai diversi livelli dei propri interlocutori, chi riesce a farsi comprendere e chi organizza al meglio il tempo dei propri collaboratori. Ad esempio, sarebbe ormai da evitare, se non in casi eccezionali, la pratica di organizzare riunioni con spostamento geografico dei partecipanti “fuori sede” anziché usare la teleconferenza.

Ci sono ancora aziende in cui si fanno fare ai dipendenti ore di treno, automobile o aereo per una riunione di un’ora! Quindi spazio ampio alle attuali potenzialità tecnologiche e a tutto ciò che può abbreviare le distanze. L’ottimo manager di cui parlo deve, naturalmente, anche saper interpretare al meglio la personalità dei propri collaboratori.

Al riguardo, consiglio di ricercare sul mercato società di formazione che possano fornire un approccio corretto ad alcune tecniche, per la verità di non recentissima invenzione ma che da ultimo stanno trovando applicazioni assai efficaci, come la PNL – Programmazione Neuro Linguistica, l’Analisi Transazionale e, per chi volesse proiettarsi nel prossimo futuro, le Costellazioni Sistemiche.

Rinviando ad una successiva occasione l’approfondimento di tali tecniche, per ora mi limito a precisare che le prime due consentono una agevole “lettura” della personalità dell’individuo sulla base dei suoi comportamenti e del linguaggio che usa in quanto gli stessi sono rispondenti a modelli classificati, tipici dell’ambiente in cui opera la persona e distinti in base ai diversi ruoli sociali che, a seconda delle situazioni, il singolo si trova ad interpretare. La terza tecnica, invece, consente di far emergere ed affrontare le problematiche del singolo all’interno del “sistema” di riferimento (familiare o lavorativo); l’approccio è più approfondito rispetto alle altre due tecniche ma, su un tempo più lungo, rilascia effetti positivi permanenti e può essere utilizzata in azienda per affrontare e risolvere le problematiche dei team di lavoro o per intervenire direttamente sul generale rapporto tra la persona e gli obiettivi stessi del suo lavoro.