Sapete che cos’è il diversity management? Quale che sia la vostra risposta, la notizia è che, tendenzialmente, le imprese italiane non lo sanno e, soprattutto, non lo applicano. La gestione delle diversità , anche attraverso pratiche specifiche (magari solo di comunicazione e sensibilizzazione), non solo non è considerata una priorità ma non è in alcun modo presente nelle aziende italiane.
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Il risultato è che i processi di selezione del personale e assunzione ne risentono in materia di pari opportunità : età , omossesualità , disabilità , figli, provenienza straniera risultano discriminati. Sono i risultati di un’indagine condotta sun un campione di 750 rispondenti dal Diversity Management Lab dell’Università Bocconi.
Solo il 23% dei campione ritiene che nella propria impresa vengano applicate pratiche per gestire le diversità , mentre il 30% ne sottolinea la mancanza. Ma il dato più indicativo è probabilmente il 47% che non sa rispondere. «Forse – spiega Stefano Basaglia, curatore della survey insieme a Zenia Simonella -, c'è anche un problema di comunicazione interna circa le iniziative aziendali su questi temi».
L’indagine ha approfondito il modo in cui vengono gestite le differenze e applicata l’equità nelle pratiche aziendali valutando le opinioni in una scala da 1 a 7.
Partiamo dalle probabilità di assunzione a parità di competenze. La probabilità di essere assunti è ritenuta più bassa dalle donne che dagli uomini, anche se qui la differenza è di pochi decimali: 6,09 l’indice per gli uomini, 5,56 per le donne.
Sia per gli uomini che per le donne, la discriminante maggiore è l’età : un lavoratore anziano ha una probabilità di essere assunto di 3,53 contro quota 6,06 di un uomo giovane. Fra le lavoratrici, le donne giovani con indice 5,86 hanno più probabilità di essere assunte delle donne in generale (5,56) avvicinandosi all’indice degli uomini, mentre per le donne anziane stiamo a 3,41. Proseguendo: per gli uomini, dopo l’età i problemi maggiori riguardano disabilità fisica (4,74) omosessualità (5,35) origine non italiana (5,36). Anche per le donne dopo l’età il freno principale è rappresentato dalla disabilità (4,70) seguita però dall’origine non italiana (5,28) e dall’omosessualità (5,29). Ecco lo specchietto con tutti i valori:
Probabilità di assunzione a parità di competenze: uomini
Probabilità di assunzione a parità di competenze: donne
Passando alle probabilità di ottenere una promozione, il rapporto uomo-donna è di 6,00 a 5,27. Quanto alle discriminanti più particolari, oltre a quelle già evidenziate in relazione all’assunzione entrano in gioco altre variabili, a partire dai figli. Per gli uomini, le differenze sono minori: senza figli l’indice è a 5,99 mentre con figli a 5,80. Per le donne, invece, l’assenza di figli è la condizione più vantaggiosa, con un indice a 5,56: una donna senza figli ha più probabilità di fare carriera rispetto a una donna in generale. La presenza di figli è invece uno degli ostacoli pricipali (indice 4,85) al terzo ostacolo dopo l’età (4,30) e la disabilità fisica (4,73). Altro problema, l’aver affrontato una malattia, sia per gli uomini sia per le donne. Ecco le tabelle.
Probabilità di promozione a parità di competenze: uomini
Probabilità di promozione a parità di competenze: donne
«Non è vero che le aziende utilizzino il merito per valorizzare il talento – sottolinea Silvia Cuomo -; i nostri dati dimostrano che il talento viene attribuito pregiudizialmente a certe categorie e caratteristiche sociali», e le evidenze mostrano «come, a livello organizzativo aziendale, manchino ancora ruoli, strutture e processi dedicati alla gestione delle diversità e come il management appaia poco impegnato su questi temi».
Quanto alle politiche di work-life balance, bilanciamento fra vita lavorative a privata, le due pratiche considerate più presenti sono il part-time (4,62 su 7) e la flessibilità sugli orari di ingresso e uscita (4,69). Telelavoro (2,72), job-sharing (2,38), forme di flessibilità personalizzate (3,06) non paiono ancora far parte del linguaggio aziendale. Scarica la Survey.