Tratto dallo speciale:

Diversity management: le aziende penalizzano le diversità 

di Barbara Weisz

Pubblicato 7 Febbraio 2014
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:38

Sapete che cos’è il diversity management? Quale che sia la vostra risposta, la notizia è che, tendenzialmente, le imprese italiane non lo sanno e, soprattutto, non lo applicano. La gestione delle diversità , anche attraverso pratiche specifiche (magari solo di comunicazione e sensibilizzazione), non solo non è considerata una priorità  ma non è in alcun modo presente nelle aziende italiane.

L'azienda adattiva: le strategie HR a supporto

Il risultato è che i processi di selezione del personale e assunzione ne risentono in materia di pari opportunità : età , omossesualità , disabilità , figli, provenienza straniera risultano discriminati. Sono i risultati di un’indagine condotta sun un campione di 750 rispondenti dal Diversity Management Lab dell’Università  Bocconi.

Solo il 23% dei campione ritiene che nella propria impresa vengano applicate pratiche per gestire le diversità , mentre il 30% ne sottolinea la mancanza. Ma il dato più indicativo è probabilmente il 47% che non sa rispondere. «Forse – spiega Stefano Basaglia, curatore della survey insieme a Zenia Simonella -, c'è anche un problema di comunicazione interna circa le iniziative aziendali su questi temi».

L’indagine ha approfondito il modo in cui vengono gestite le differenze e applicata l’equità  nelle pratiche aziendali valutando le opinioni in una scala da 1 a 7.

Partiamo dalle probabilità  di assunzione a parità  di competenze. La probabilità  di essere assunti è ritenuta più bassa dalle donne che dagli uomini, anche se qui la differenza è di pochi decimali: 6,09 l’indice per gli uomini, 5,56 per le donne.
Sia per gli uomini che per le donne, la discriminante maggiore è l’età : un lavoratore anziano ha una probabilità  di essere assunto di 3,53 contro quota 6,06 di un uomo giovane. Fra le lavoratrici, le donne giovani con indice 5,86 hanno più probabilità  di essere assunte delle donne in generale (5,56) avvicinandosi all’indice degli uomini, mentre per le donne anziane stiamo a 3,41. Proseguendo: per gli uomini, dopo l’età  i problemi maggiori riguardano disabilità  fisica (4,74) omosessualità  (5,35) origine non italiana (5,36). Anche per le donne dopo l’età  il freno principale è rappresentato dalla disabilità  (4,70) seguita però dall’origine non italiana (5,28) e dall’omosessualità  (5,29). Ecco lo specchietto con tutti i valori:
Probabilità  di assunzione a parità  di competenze: uomini

Probabilità  di assunzione a parità  di competenze: donne

Passando alle probabilità  di ottenere una promozione, il rapporto uomo-donna è di 6,00 a 5,27. Quanto alle discriminanti più particolari, oltre a quelle già  evidenziate in relazione all’assunzione entrano in gioco altre variabili, a partire dai figli. Per gli uomini, le differenze sono minori: senza figli l’indice è a 5,99 mentre con figli a 5,80. Per le donne, invece, l’assenza di figli è la condizione più vantaggiosa, con un indice a 5,56: una donna senza figli ha più probabilità  di fare carriera rispetto a una donna in generale. La presenza di figli è invece uno degli ostacoli pricipali (indice 4,85) al terzo ostacolo dopo l’età  (4,30) e la disabilità  fisica (4,73). Altro problema, l’aver affrontato una malattia, sia per gli uomini sia per le donne. Ecco le tabelle.

Probabilità  di promozione a parità  di competenze: uomini

Probabilità  di promozione a parità  di competenze: donne

«Non è vero che le aziende utilizzino il merito per valorizzare il talento – sottolinea Silvia Cuomo -; i nostri dati dimostrano che il talento viene attribuito pregiudizialmente a certe categorie e caratteristiche sociali», e le evidenze mostrano «come, a livello organizzativo aziendale, manchino ancora ruoli, strutture e processi dedicati alla gestione delle diversità  e come il management appaia poco impegnato su questi temi».

Quanto alle politiche di work-life balance, bilanciamento fra vita lavorative a privata, le due pratiche considerate più presenti sono il part-time (4,62 su 7) e la flessibilità  sugli orari di ingresso e uscita (4,69). Telelavoro (2,72), job-sharing (2,38), forme di flessibilità  personalizzate (3,06) non paiono ancora far parte del linguaggio aziendale. Scarica la Survey.