Se nella lettera di assunzione a tempo determinato è indicato il periodo di preavviso, si può interpretare che, in caso di dimissioni o licenziamento, la penalità è pari al preavviso se non lavorato?
L’indicazione di un periodo di preavviso all’interno di un contratto a tempo determinato non è previsto da alcuna norma di Legge, né generalmente dai CCNL. Il Codice Civile, all’art.2118, inserisce l’obbligo del preavviso per i soli contratti a tempo indeterminato.
La motivazione, intuitiva, consiste nella possibilità, da parte di chi riceve un recesso inaspettato (e questo dovrebbe avvenire solo se il contratto è stipulato a tempo indeterminato), di organizzarsi al meglio. Sulla stessa linea logica si sviluppa il ragionamento per cui nessun preavviso deve essere dato se due parti hanno già individuato quale sarà la data finale della loro collaborazione.
Si potrebbe sostenere che nel contratto a tempo determinato il preavviso non sia necessario perché, di fatto, già stato comunicato all’assunzione (pre-avviso = avviso che viene dato in anticipo; nel contratto a termine le parti si avvisano reciprocamente già alla firma del contratto).
=> Licenziamenti, recesso e indennità sostitutiva del preavviso
Attenzione però: si è sempre tenuti a rispettare la scadenza pattuita; in caso contrario ci si imbatte in un inadempimento contrattuale a cui può seguire una richiesta di risarcimento del danno, così quantificabile:
- nel caso sia il datore di lavoro ad interrompere unilateralmente la collaborazione, è pari alle retribuzioni che sarebbero spettate per tutto il periodo intercorrente dalla data del recesso fino alla data di scadenza del contratto originariamente pattuita,
- nel caso sia imputabile al lavoratore, il danno non sarà calcolabile automaticamente ma richiederà la prova delle ripercussioni economiche causate dal comportamento illecito del dipendente.
Tutto ciò premesso, cosa significa apporre un periodo di preavviso ad un contratto che per Legge non lo prevedrebbe? Dal punto di vista aziendale significa apporre al contratto una clausola suscettibile di illegittimità, se esercitata. Per il dipendente vale lo stesso (clausola invalida) a meno che non si dimostri che è a lui più favorevole.
Nei rapporti di lavoro, infatti, le clausole del contratto individuale, in deroga a quelle del CCNL applicato o alla Legge, hanno validità solamente se migliorative per la parte cosiddetta “debole”, che è il lavoratore.
A cura di Michele Bolpagni – Consulente del Lavoro
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