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Credito, occupazione e PMI: la relazione Banca d’Italia

di Barbara Weisz

3 Giugno 2013 17:45

La relazione finale del governatore di Bankitalia: le imprese devono innovare, monito alla classe dirigente, incapace di rispondere ai cambiamenti degli ultimi 25 anni, ancora difficile l'accesso al credito.

Il governatore della Banca d’Italia invita le imprese a investire in competitività per tornare a crescere: dopo Mario Draghi (“PMI italiane troppo piccole e poco flessibili alle esigenze del mercato globale e delle nuove tecnologie”) lo ha ribadito anche il successore Ignazio Visco: e se nel 2012 l’accento era posto sul problemi di accesso al credito bancario (leggi qui), nel 2013 si insiste sul bisogno di innovazione.

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Il richiamo a innovare

Nel contesto dell’attuale crisi, ha sottolineato il banchiere centrale, «le imprese sono chiamate a uno sforzo eccezionale per garantire il successo della trasformazione, investendo risorse proprie, aprendosi alle opportunità di crescita, adeguando la struttura societaria e i modelli organizzativi, puntando sull’innovazione, sulla capacità di essere presenti sui mercati più dinamici. Hanno mostrato di saperlo fare in altri momenti della nostra storia. Alcune lo stanno facendo. Troppo poche hanno però accettato fino in fondo questa sfida; a volte si preferisce, illusoriamente, invocare come soluzione il sostegno pubblico».

E ancora: «la Relazione contiene quest’anno un approfondimento sull’attività innovativa in Italia». La considerazione di base sull’importanza dell’innovazione è la seguente: «la capacità di innovare i prodotti e i processi, di esportare sui mercati emergenti, di internazionalizzare l’attività, anche guidando o partecipando a catene produttive globali, demarca il confine tra le imprese che continuano a espandere il fatturato e il valore aggiunto e quelle che, invece, faticano a rimanere sul mercato». Fra gli effetti della crisi, quello di accentuare «questo divario, reso stridente l’inadeguatezza di una parte del sistema produttivo».

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Bisogna spostare l’attività produttiva del paese «dai settori e dalle imprese declinanti a quelli in espansione» e questo «richiede profondi cambiamenti nei rapporti di lavoro e nel sistema dell’istruzione. Non si tratta di prevedere i settori e le attività cui più si rivolgerà la domanda di consumo e di investimento nei prossimi decenni, quanto di facilitare la transizione, riducendone i costi sociali, valorizzando le opportunità».

Primo punto, l’occupazione, in primis quella giovanile: «molte occupazioni stanno scomparendo; negli anni a venire i giovani non potranno semplicemente contare di rimpiazzare i più anziani nel loro posto di lavoro. Vanno assicurate sin d’ora le condizioni per favorire la nascita e la crescita di imprese nuove, generare nuove opportunità di impiego». Dunque, bisogna sviluppare adeguatamente «la formazione professionale», che deve «coprire un’intera vita lavorativa caratterizzata dalla mobilità e dal cambiamento» e tutelarla «con rafforzati sistemi di protezione e assicurazione, pubblici e privati, nei periodi di inattività». Scuola e università hanno un ruolo fondamentale nel «sostenere questo processo garantendo un’istruzione adeguata per qualità e quantità, mirando con decisione ad accrescere i livelli di apprendimento e a sviluppare nuove competenze».

Secondo, «l’Italia ha bisogno di condizioni favorevoli all’attività d’impresa, alla riallocazione dei fattori produttivi. Il ritardo che abbiamo accumulato risente anche di un quadro regolamentare ridondante, di complessità e costi degli adempimenti amministrativi da ridurre drasticamente, di un diritto da rendere più certo, di comportamenti corruttivi diffusi da sradicare, di una insufficiente protezione dalla criminalità. Progressi immediati, visibili, nella rimozione di questi gravi ostacoli potranno stimolare gli investimenti produttivi, attrarli anche dall’estero, in tutte le regioni del Paese, in particolare nel Mezzogiorno, dove soprattutto è critico il contesto esterno all’attività produttiva e da cui dipende in modo decisivo lo sviluppo equilibrato della nostra economia».

Come si vede, si tratta in buona parte delle richieste che provengono dallo stesso mondo delle imprese: mercato del lavoro più flessibile, welfare adeguato, meno burocrazia, certezza del diritto, lotta alla criminalità.

Le riforme

Le riforme avviate nell’ultimo anno vanno nella giusta direzione, spiega Visco, ma in molti casi «hanno tardato, talvolta ancora mancano, i provvedimenti attuativi; non sono cambiati i comportamenti dell’amministrazione. È un tratto ricorrente dell’esperienza storica del nostro paese: le principali difficoltà non risiedono tanto nel contenuto delle norme, quanto nella loro concreta applicazione».

Bisogna quindi riprendere l’azione di riforma, «come ci incoraggia a fare anche la Commissione europea nelle raccomandazioni che accompagnano la proposta di chiusura della procedura per i disavanzi eccessivi» (leggi qui) e bisogna farlo seguendo «un approccio organico, che fissi subito gli obiettivi in un orizzonte di medio periodo».

Il monito più duro va alla classe dirigente del paese, tutta: «non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi 25 anni».

Il cambiameneto necessario è profondo, riguarda «le modalità di accumulazione del capitale materiale e immateriale, la specializzazione e l’organizzazione produttiva, il sistema di istruzione, le competenze, i percorsi occupazionali, le caratteristiche del modello di welfare e la distribuzione dei redditi, le rendite incompatibili con il nuovo contesto competitivo, il funzionamento dell’amministrazione pubblica». E se l’aggiustamento «necessita del contributo decisivo della politica» è  anche «essenziale la risposta della
società e di tutte le forze produttive». Quindi, anche delle imprese.

Accesso al credito

Come detto, Visco non sottovaluta uno dei problemi che maggiormente continuano a riguarda le imprese, il rapporto con le banche e il difficile accesso al credito: «le prospettive della domanda interna dipendono anche, in ampia misura, dalle condizioni di accesso al credito».

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La situazione fotografata da Bankitalia: «i prestiti alle imprese hanno rallentato nettamente nella seconda parte del 2011 e si sono contratti di circa 60 miliardi dall’inizio di dicembre dello stesso anno». La flessione è proseguita «a ritmi più contenuti nel corso del 2012» poi «nei primi quattro mesi di quest’anno il calo si è di nuovo accentuato, avvicinandosi al 4% su base annua. Sono diminuiti, in misura minore, anche i prestiti alle famiglie.

Quanto al costo del credito alle imprese, è «salito nel corso del 2011, è sceso per larga parte dello scorso anno; la flessione si è interrotta dall’autunno». Ma «i tassi bancari attivi rimangono superiori a quelli medi dell’area: di circa un punto percentuale per i prestiti alle imprese e di mezzo punto per i mutui alle famiglie».

C’è una spirale negativa, che impatta sull’economia, sulle imprese, sui consumi, che bisogna spezzare. I rischi immediati relativi alla mancanza di liquidità sono rientrati, anche grazie alle operazioni della Bce. Ma «rimangono incertezze sulla capacità delle banche di riconquistare pienamente l’accesso ai mercati internazionali, soprattutto nei segmenti a lunga scadenza».

E le tensioni nell’offerta di credito «sembrano riguardare, seppure con minore intensità, anche imprese con condizioni finanziarie equilibrate». E «le difficoltà sono accentuate per le aziende medie e piccole, meno in grado di ricorrere a fonti di finanziamento alternative al credito bancario».

Ci sono stati interventi positivi su questo fronte: moratorie per le PMI (benefici finanziari fra il 2009 e il 2012 pari a poco meno di 60 miliardi). Bisogna continuare, ad esempio aumentando le risorse del Fondo Centrale di Garanzia, «avendo cura che alle garanzie da prestare corrispondano prestiti addizionali e condizioni più favorevoli, con piena informazione alle imprese beneficiarie».

C’è anche il richiamo a «stimolare una riflessione sull’assetto complessivo del sistema finanziario italiano, sullo scarso sviluppo dei mercati obbligazionari e azionari e sulla conseguente eccessiva dipendenza delle imprese dai prestiti bancari». E qui ci sono da una parte resistenze da parte delle stesse imprese, dall’altra  responsabilità delle banche che «non hanno spinto a sufficienza le imprese ad avvicinarsi ai mercati».

Entrambe le aprti devono superare queste esitazioni. Le banche devono favorire il ricorso delle imprese al mercato anche «avvalendosi dei vantaggi nella valutazione del merito di credito derivanti dalle relazioni di lungo periodo che con esse intrattengono». Vanno poi stimolati il mercato dei fondi pensione, gli investimenti di lungo periodo, il capitale di rischio.

In definitiva, tutti devono impegnarsi: imprese, lavoratori, banche istituzioni, senza paura del cambiamento, senza chiudersi nella difesa delle proprie rendite, ma con «consapevolezza, solidarietà, lungimiranza».

del Governatore Ignazio Visco, 31 maggio 2013