L’Europa salva l’Irlanda e lancia il Mes

di Barbara Weisz

Pubblicato 29 Novembre 2010
Aggiornato 10 Aprile 2020 10:20

Si tratta di un fondo monetario europeo per rispondere alle crisi dei paesi. Sui mercati, prevale ancora la paura. Monito all'Italia dal Wsj

Il salvataggio dell’Irlanda, con il via libera al piano da 85 miliardi di euro, e una risposta di sistema, con la creazione del Fondo Monetario Europeo. Sono state queste le principali decisioni prese da Eurogruppo ed Ecofin che si sono succeduti nel weekend.

Alla riunione dell’Eurogruppo hanno partecipato anche i ministri delle Finanze di Regno Unito, Svezia e Danimarca, paesi che pur non appartenendo all’area della moneta unica partecipano al piano per l’Irlanda. Degli 85 miliardi che arriveranno a Dublino, a cui concorrono con quote uguali Fmi, Ue e Esfs (fondo salva-stati), 35 andranno al sistema bancario. Il tasso è al 6%, quindi un po’ più alto del 5,2% previsto per la Grecia, e la durata del prestito pari a sette anni (fra l’altro è stata decisa anche una revisione delle scadenze dei prestiti ad Atene, che verranno presumibilmente allineate a quelle irlandesi). 

Ma se il via libera al piano salva Irlanda era ampiamente atteso, la novità più rilevante fra le decisioni prese ieri dall’Europa riguarda la creazione di un meccanismo europeo di stabilizzazione (Mes) che dovrebbe entrare in funzione dalla metà del 2013. Si tratta di una specie di Fmi europeo, che potrà intervenire nella soluzione di eventuali crisi del debito dei paesi dell’Eurozona. Sarà basato sull’attuale Efsf, il fondo di stabilità, ma avrà probabilmente una dotazione superiore ai 440 miliardi di quest’ultimo. E soprattutto introduce la possibilità del coinvolgimento del settore privato, da decidere caso per caso davanti a crisi di solvibilità.

Sulle decisioni prese nel fine settimana dai ministri finanziari europei hanno espresso soddisfazione il presidente dell’Eurozona Jean-Claude Juncker, quello della Bce, Jean-Claude Trichet, il commissario Ue agli affari economici e monetari, Olli Rehn, che ha espresso anche fiducia sulle rassicurazioni fornite dai paesi considerati più a rischio, Portagallo e Spagna. Dichiarazioni all’insegna della positività anche da parte dei ministri delle Finanze di Germania e Francia.

La reazione dei mercati, invece, non è stata positiva. Dopo un avvio in rialzo tutte le borse europee hanno perso terreno, appesantite anche dalla partenza negativa di Wall Street.

In questo clima si inserisce una nota critica indirizzata all’Italia e firmata dal Wall Street Journal. La Penisola deve spingere sulla crescita, altrimenti dopo Grecia, Irlanda, Portgallo e Spagna sarà la prossima vittima dei mercati. L’Italia, si legge, «sembra in buone condizioni finanziarie», ma ci sono ancora segnali di allarme, e «potrebbe essere il prossimo obiettivo degli investitori a meno che non riesca ad aumentare il suo ritmo di crescita rispetto all’attuale 1%».

I punti di forza del sistema Italia vengono individuati nel fatto di non avere bolle immobiliari e non presentare il rischio di dissesti bancari. Gli elementi critici: un debito al 120% del pil, crescita molto debole, la concorrenza cinese che colpisce le pmi, il fatto che nella lista dei paesi dove è più facile investire l’Italia sia all’80esimo posto dopo Mongolia e Zambia, l’eccessiva esposizione al prezzo del petrolio che importa quasi totalmente. Il tutto aggravato dal fatto che quella italiana è un’economia grossa, una volta e mezzo quella spagnola (quest’ultima, fra l’altro, è già ben più imponente di quelle di Grecia, Irlanda e Portogallo) e l’Europa farebbe parecchia fatica a trovare le risorse sufficienti per un salvataggio. 

Infine, le stime d’autunno della Commissione Ue. Il pil italiano è visto all’1,1% quest’anno e nel 2011 e all’1,4% nel 2012. Il deficit, dopo il 5% di quest’anno toccherà il 4,3% nel 2011 e arriverà al 3,5% nel 2012 (quindi ancora sopra il 3% del pil). In Europa, pil 2010 all’1,7%, mentre nel 2011 si attesterà all’1,5% e nel 2012 all’1,8%. Il deficit complessivo è invece visto al 6,3% del Pil quest’anno, al 4,6% nel 2011 e al 3,9% nel 2012.