Limitare le false partite IVA presenti in Italia, usate come espediente dalle aziende che non vogliono assumere dipendenti preferendo avvalersi della collaborazione di lavoratori autonomi, lasciati tuttavia senza tutele proprio perché non titolari di un contratto di lavoro stabile. Questa è una delle mosse previste dalla riforma del lavoro, mirata a ridurre, fino a estinguere, tutte quelle tipologie di “flessibilità” che il ministro Elsa Fornero classifica come “malate”.
La riforma del lavoro punta quindi a favorire la stabilizzazione di tutti i lavoratori autonomi con partita IVA che, nella realtà, svolgono mansioni e orari da dipendenti: in Italia ci sono circa 400 mila professionisti che vivono e lavorano in questa condizione, molto meno costosi per le imprese rispetto ai dipendenti fissi. Pertanto, con il nuovo decreto legge si stabilisce che qualsiasi rapporto lavorativo che si protrae per più di 6 mesi, nell’arco di un anno, con un unico datore di lavoro, non può essere definito semplice collaborazione ma deve trasformarsi in lavoro dipendente.
Stessa sorte per i lavoratori autonomi, e per i consulenti, i cui introiti percepiti dal datore di lavoro superano il 75% del reddito complessivo. Il Governo Monti, con l’approvazione della riforma, pone quindi un freno al dilagare delle false partite IVA, un vero e proprio abuso che ha avuto la sua fase più critica proprio dall’inizio della crisi economica. Secondo uno studio Isfol, inoltre, il 55% dei lavoratori definiti autonomi non ha tuttavia i “privilegi” che questa forma di impiego dovrebbe garantire, vale a dire flessibilità di orario e possibilità di offrire prestazioni lavorative a più di un committente.
Un esercito di professionisti spesso obbligati a esercitare con partita IVA, a tutti gli effetti inutile, pur di lavorare e perennemente a rischio di essere rimpiazzati o esclusi. L’Agenzia delle Entrate ha stimato circa 8 milioni e 800 mila partite IVA nella penisola, delle quali, tuttavia, oltre 2 milioni sono inattive e verranno chiuse entro il 31 marzo secondo quanto stabilito dal decreto Milleproroghe.
Un ultimo dato che illustra quanto siano diffuse queste forme di collaborazione di comodo: le partite IVA degli italiani – prendendo come riferimento i giovani fino ai 39 anni – sono circa 1,4 milioni, valore più alto in tutta Europa. Una cifra che, tuttavia, contrasta con il numero degli under 35 italiani che vorrebbero mettersi in proprio, che colloca l’Italia in fondo alla classifica di Eurozona.