Offendere il proprio capo nel corso di un diverbio, usando parole ingiuriose e minacce, può condurre dritto al licenziamento per giusta causa.
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Lo sottolinea la Corte di Cassazione, approvando il provvedimento giudicato legittimo dalla Corte d’Appello di Torino lo scorso luglio: con la sentenza 20071/2015, infatti, i giudici della Suprema Corte ribadiscono la legittimità del licenziamento che si basa sulla valutazione delle deposizioni dei testimoni considerate attendibili.
Il licenziamento è quindi giustificato sulla base di comportamenti:
«consistenti in atti di insubordinazione nei confronti del superiore gerarchico concretizzatisi nell’avergli rivolto espressioni ingiuriose e minacciose in occasione di una discussione avuta per motivi di lavoro.»
Nel caso esaminato – precisa la Cassazione – la gravità del comportamento del lavoratore rende legittimo il suo licenziamento, fermo restando che:
«in tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e dell’adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice d’appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa, come nella fattispecie, si sottraggono al riesame in sede di legittimità.»
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