Nel licenziamento del dirigente il criterio della giustificatezza deve essere nettamente distinto dalla “giusta causa” o dal “giustificato motivo” alla base, invece, del recesso del rapporto di lavoro che coinvolge un dipendente subordinato (ai fini della concessione dell’indennità supplementare stabilita dalla contrattazione collettiva).
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Lo sottolinea la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2205 del 4 febbraio 2016, negando il ricorso promosso da un dirigente licenziato in tronco dall’azienda senza indennità sostitutiva di preavviso e indennità supplementare.
Il rapporto che lega il dirigente all’azienda, infatti, si basa su un vincolo fiduciario rilevante e, come ha affermato la Suprema Corte, la giustificatezza rappresenta un concetto più flessibile rispetto alla giusta causa, necessario per valutare la meritevolezza dell’indennità supplementare nel momento in cui viene meno il rapporto lavorativo.
Citando una precedente sentenza (n. 25145 del 13 dicembre 2010):
«La disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970 non è applicabile, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 604 del 1966, ai dirigenti convenzionali, quelli cioè da ritenere tali alla stregua delle declaratorie del contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori, ad eccezione degli pseudo-dirigenti, vale a dire di coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente.»
Per quanto riguarda il riconoscimento dell’indennità supplementare ai dirigenti:
«Occorre fare riferimento alla nozione contrattuale di giustificatezza che si discosta, sia nel piano soggettivo che su quello oggettivo, da quello di giustificato motivo ex art. 3, legge n. 604 del 1966, e di giusta causa ex art. 2119 cod. civ., trovando la sua ragione d’essere, da un lato, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in ragione delle mansioni affidate – suscettibile di essere leso anche da mera inadeguatezza rispetto ad aspettative riconoscibili “ex ante” o da importante deviazione dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro, ovvero da comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita – e, dall’altro, nello stesso sviluppo delle strategie di impresa che rendano nel tempo non pienamente adeguata la concreta posizione assegnata al dirigente nella articolazione della struttura direttiva dell’azienda.»