La carenza di Engagement può arrecare gravi danni alle aziende, che subiscono perdite pari a 270 miliardi di euro nell’arco di un anno: dal grado di coinvolgimento sia razionale sia emotivo dei dipendenti nei confronti della propria azienda, infatti, dipendono spesso vendite, profitti e produttività. Partendo da questi concetti base, Dale Carnegie Training in collaborazione con MSW Research ha svolto l’indagine “Employee Engagement” finalizzata a rivelare le variabili che più di altre agiscono direttamente sulle emozioni positive che favoriscono l’istaurarsi di questo legame tra collaboratori e datore di lavoro.
=> Scopri come essere un manager che ogni dipendente apprezza
Lo studio, che ha coinvolto 4550 lavoratori provenienti da 31 paesi delle regioni APAC, EMEA, America Latina e Nord America, è stato condotto tra gennaio 2012 e febbraio 2013. Per quanto riguarda i dati italiani, se il 29% degli intervistati ha ammesso di sentirsi completamente engaged, il 43% si ritiene engaged solo parzialmente e il 28% afferma di essere del tutto disengaged. In altre parole, solo 3 persone su 10 in Italia possono ritenersi pienamente soddisfatte del proprio impiego e, soprattutto, della loro azienda.
Cifre non brillanti che mostrano, tuttavia, la necessità da parte dei manager delle risorse umane di mettere in atto strategie efficaci per ottenere collaboratori motivati e soddisfatti, con non pochi vantaggi dal punto di vista della competitività e del business.
Ma quali sono i fattori che creano maggiormente Engagement? La ricerca colloca al primo posto il rapporto con il capo, basato sulla fiducia riposta non solo nelle abilità di leadership del boss ma anche nella sua capacità di essere un esempio per il gruppo. Fondamentale è anche la fiducia nel Top management, così come le abilità comunicative in grado di creare una relazione aperta e trasparente tra i vertici e i collaboratori.
=> Leggi come gestire i dipendenti che sbagliano troppo
A ostacolare l’Engagement, invece, è una relazione insoddisfacente tra il Top management e i dipendenti, tenuti fuori da qualsiasi coinvolgimento nel processo decisionale e per nulla valorizzati attraverso strategie di crescita e sviluppo delle loro abilità personali. A incidere negativamente, infine, è anche la carenza di politiche di valorizzazione della diversità.