La gestione dei talenti è da sempre molto complicata. Da un alto le aziende lamentano la mancanza di persone adatte a svolgere il lavoro che vorrebbero assegnare o anche la difficoltà a fidelizzare i talenti migliori. Dall’altra i lavoratori non riescono a trovare un lavoro che soddisfi tutte le loro richieste.
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Questa discrepanza è molto difficile da colmare anche perché entra in gioco il fattore umano. Fin quando possono essere misurate capacità personali e necessità aziendali le cose possono collimare, ma le variabili rendono il calcolo imperfetto.
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Per superare questo stato di cose una delle strade percorribili è il lavoro on demand. Vale a dire collaborazioni brevi, che durano giusto il tempo di un progetto. Visto l’aumento del lavoro autonomo probabilmente questa strategia non è poi così lontana, basandosi proprio su singoli professionisti che incrociano le loro competenze.
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Si potrebbe parlare proprio di processo di uberizzazione, secondo cui si assiste ad un continuo aggiustamento del prezzo in base alla domanda e all’offerta, basandosi sul modello proposto dalla ditta di taxi americana Uber. Con il suo perfezionamento si potrebbe arrivare ad affinare la ricerca, tanto da calcolare un algoritmo che valuti sia il grado di competenza per il progetto sia la compatibilità psicologica per lavorare insieme.