Controversa la situazione italiana sul fronte occupazionale al femminile. Da una parte emerge una sempre maggiore volontà delle donne di dedicarsi alla carriera, anteponendola alla voglia di maternità, dall’altra sembra che proprio l’avere dei figli stimoli nelle donne la voglia di realizzarsi anche dal punto di vista professionale.
In particolare, secondo uno studio redatto da Concetta Rondinelli e Roberta Zizza, due economiste di Bankitalia (“Effetti (non) persistenti della fecondità sull’offerta di lavoro femminile“), dopo due anni di distanza dalla gravidanza le italiane sono pronte a rimettersi in gioco professionalmente.
Di contro studi accademici come quello Francesca Modena e Fabio Sabatini dell’Euricse-Università di Trento (“I Would if I Could: Precarious Employment and Childbearing Intentions in Italy“) dimostrano che per le professioniste con contratti atipici il rischio di perdere il lavoro e quindi l’impossibilità di trovarne un altro post maternità, riduce del -3% la probabilità di pianificare una gravidanza.
A parità di istruzione ed età, quindi, le colleghe impiegate a tempo indeterminato risultano più propense a mettere su famiglia. Una differenza sostanziale determinata dall’assenza in Italia di adeguate politiche di sostegno, previste solo per coppie con figli e non per quelle che vorrebbero averli ma non lo fanno per i timori legati alla precarietà sul lavoro.
È infatti appurato che dalla nascita passano circa 23 mesi prima che la donna si rimetta realmente in moto dal punto di vista lavorativo, nel caso si sia perso il precedente perché caratterizzato da contratto atipico. E questo certo non aumenta la probabilità di trovare un lavoro retribuito, soprattutto se non si tratta del primo figlio.
La novità è che però, superato questo periodo di trade-off, le donne in carriera non solo sono pronte a ripartire ma lo farebbero con una maggiore determinazione, scaturita proprio dallo stimolo di avere una famiglia da mantenere.
Una volontà che andrebbe sostenuta e non ostacolata come purtroppo accade ancora nel nostro Paese, dove le donne sono spesso costrette a scegliere tra carriera e famiglia, a differenza di quanto accade in altri Paesi europei come quelli scandinavi. Qui nonostante la partecipazione femminile al mondo del lavoro sia maggiore, si registrino anche i tassi più alti sia di fecondità.
Si avverte pertanto la necessità di destinare maggiori risorse e attenzione alla maternità e alle famiglie, la percentuale di Pil impegnato è pari solo al 4,7%. Veramente poco rispetto alla media UE27 dell’8,26% con l’Italia al penultimo posto.