Il Terzo Settore si sta via via professionalizzando con un aumento della componente del lavoro retribuito e una diminuzione dell’attività prestata volontariamente. Allo stesso tempo i top manager del no profit guadagnano un terzo dei colleghi delle aziende private.
E’ quanto emerge dalla Quarta Indagine sulle prassi gestionali e retributive nel No profit curata dall’Osservatorio sulle Risorse Umane del Nonprofit (ORUNP), promosso da Fondazione Sodalitas ed Hay Group.
A 5 anni dalla precedente rilevazione il panorama si arricchisce di dati che consentono di tracciare un profilo più preciso. L’indagine si è allargata coinvolgendo 126 Organizzazioni del Terzo Settore contro le 75 del 2006 per un totale di circa 20mila dipendenti.
L’esame ha riguardato 44 tra associazioni e fondazioni, 36 Ong (Organizzazioni Non Governative) 25 cooperative sociali e 21 tra consorzi e associazioni di 2° e 3° livello. La valutazione comporta un confronto delle prassi gestionali e retributive adottate dalle ong con quelle in uso nei settori Profit e nella Pubblica Amministrazione e una comparazione con le pratiche in voga nel no profit di Gran Bretagna e Stati Uniti.
Il divario nelle retribuzioni resta considerevole se paragonato con gli stipendi delle imprese specialmente per quanto concerne le funzioni direttive con una tendenza all’accentuazione del turn-over nei ruoli più bassi. Il gap retributivo a sfavore del no profit è ulteriormente avvalorato dai dati sul ricorso alla retribuzione variabile e ai benefit. Messo in rapporto con altri paesi il Terzo settore italiano non regge il confronto: le grandi charity e le grosse strutture ospedaliere del Regno Unito e degli Stati Uniti hanno stipendi in linea con il mercato privato.
Maggiore attenzione invece verso le esigenze individuali dei collaboratori in termini di flessibilità dell’orario di lavoro: oltre il 50% consente infatti di gestire in modo flessibile ferie e orario di lavoro mentre il 75% delle organizzazioni interpellate accetta la gestione flessibile dei permessi. Inoltre, se nel settore profit 2 dipendenti su 3 sono uomini, nel no profit si riscontra una più equa distribuzione di genere: i dipendenti maschi rappresentano il 41%, mentre le donne il 59%.