Per un manager, la maggior vitalità nel lavoro arriva a un’età compresa tra i 50 e i 59 anni di età, con il picco massimo attorno ai 57 anni quando l’esperienza, l’energia mentale e il vigore fisico danno ancora il meglio di sè.
A giungere a questa conclusione sono stati 3 ricercatori dell’Università di Haifa, in Israele, che hanno elaborato dei dati raccolti su un campione di 545 manager di diverse fasce di età e impiegati presso aziende pubbliche e private attive nel campo dell’high tech, dell’industria e delle infrastrutture.
I 3 curatori dello studio, Shmuel Grimland, Eran Vigoda-Gadot, e Yehuda Baruch (quest’ultimo membro della Rouen Business School in Francia) hanno pertanto rivoluzionato il concetto su cui si basano molte politiche aziendali, che vedono preferire dirigenti più giovani contando sulla loro freschezza fisica e sulla loro maggiore elasticità.
In particolare, lo studio ha mostrato che la vitalità nel lavoro aumenta di pari passo con l’abilità individuale nel trovare risorse personali per avere successo e raggiungere gli obiettivi. E tale “forza” è direttamente proporzionale dal livello toccato in azienda: più è alto il livello raggiunto nella gerarchia e più è elevata la vitalità, cosa che si accompagna con la maggior soddisfazione professionale e con l’attaccamento all’azienda.
“La nostra ricerca mostra che se ai manager si danno gli strumenti per migliorare, la vitalità lavorativa incrementerà il proprio grado di soddisfazione, favorirà la nascita di creatività e aiuterà l’innovazione. Questa cosa dovrebbe essere una priorità per tutte le aziende” hanno detto i 3 ricercatori, sottolineando che per “vitalità professionale” si intende l’abilità che un manager ha nel dedicarsi al proprio lavoro con “passione, vigore e competenza”e al tempo stesso – come detto – ottenerne una forte soddisfazione. E tale vitalità professionale, appunto, si registra in età matura – tra i 50 e i 59, come detto – per poi calare anno dopo anno nel decennio successivo.