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La parità salariale in azienda è legge: nuovi obblighi e regole

di Anna Fabi

27 Ottobre 2021 10:02

Riforma del Codice sulla parità di genere: certificato di parità salariale e lavorativa, report obbligatorio e stretta sulle discriminazioni indirette.

Via libera definitivo alla legge sulla parità salariale contro il gender pay gap in Italia, che modifica il Codice delle pari opportunità ed introduce in azienda una serie di novità, come la Certificazione di parità di genere, gli sgravi contributivi premiali ed il monitoraggio obbligatorio sopra i 50 dipendenti, con nuove precisazioni sulla discriminazione indiretta. . Come spiegato dalle relatrici della legge,  Chiara Gribaudo e Valeria Fedeli:

Le aziende sopra i 50 dipendenti dovranno compilare un rapporto sulla situazione del personale che conterrà molti indicatori, dai salari agli inquadramenti, dai congedi al reclutamento. L’elenco delle aziende che trasmetteranno il rapporto, e quello di chi non lo trasmetterà, sarà pubblico, e i dati saranno consultabili dai lavoratori, dai sindacati, dagli ispettori del lavoro, dalle consigliere di parità con sanzioni fino a 5mila euro per mancata o fallace trasmissione dei dati.

Certificazione sulla parità di genere

Il testo unificato sulla parità di genere, approvato all’unanimità in Senato dopo il via libera alla Camera dei giorni scorsi, istituisce la certificazione da gennaio 2022, sulle «politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità». Sono previsti decreti attuativi per stabilire i parametri minimi per il conseguimento della certificazione da parte delle imprese. A questa certificazione viene collegato un incentivo fiscale. Uno sgravio contributivo fino a 50mila euro annui per ogni azienda che, al 31 dicembre dell’anno prima, ha ottenuto l’attestazione di parità.

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Rapporto obbligatorio

Altra novità è l’obbligo di presentare il rapporto sulla parità di genere per le imprese oltre i 50 dipendenti (prima scattava sopra i 100 dipendenti). Le aziende di minori dimensioni possono decidere di adottarlo su base volontaria. Il rapporto è redatto in modalità esclusivamente telematica, in base a modelli e procedure indicate sul sito del Ministero del Lavoro. Fra i dati da inserire: numero dei lavoratori occupati di genere femminile e maschile, assunti nel corso dell’anno, differenze tra le retribuzioni iniziali, inquadramento contrattuale, funzione svolta.

Giro di vite su discriminazioni indirette

Vengono infine inserite una serie di precisazioni sul concetto di discriminazione indiretta. Fra i comportamenti apparentemente neutri che, in base al comma 2 dell’articolo 25 del Codice delle pari opportunità, determinano invece una  discriminazione indiretta, vengono inseriti esplicitamente quelli «di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro». Viene poi specificato che costituisce discriminazione ogni modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori, o limitarne le opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali, o l’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.

Discriminazioni organizzative

L’articolo 2 della legge aggiunge tra le discriminazioni indirette quelle “di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro”, con il divieto di:

ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti.

L’obiettivo è evitare che si crei una potenziale posizione di “svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori”, una “limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali” oppure “dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera”.