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Peer to Peer, pirateria e software illegali: scene di battaglia, tra provvedimenti francesi e DRM

di Vincenzo Zeffiri

Pubblicato 28 Novembre 2007
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:45

“La pirateria è un comportamento medievale”? Tutt’altro: è tipico dell’era digitale.

Benché il presidente francese Nicolas Sarkozy facesse riferimento alla sconsideratezza della pirateria quale comportamento lesivo dell’economia e della vita culturale, le sue parole si prestano bene a introdurre l’argomento.

È della scorsa settimana la notizia che la Francia rivoluzionerà  presto le sue politiche interne riguardo le connessioni internet e i programmi P2P.

Non è un mistero il fatto che in tutto il mondo migliaia di persone, assolutamente normali e il più delle volte senza nessuno secondo fine, traffichino file multimediali senza farsi troppi scrupoli dei diritti di autore dai quali sono protetti.

È evidente che il fenomeno di crisi denunciato negli ultimi anni non è causato dal singolo utente, interessato semplicemente alla traccia musicale più in voga in quel momento, ma a chi del P2P ne ha fatto una “filosofia di vita”…

I danni all’economia derivati da quest’uso sconsiderato di software e reti sono realmente consistenti, e non solo in Francia. La situazione italiana, infatti, non differisce di molto (riferimento normativo L. 633/1941).

Inutile dire che per quanto si possa cercare di tracciare gli scambi e le connessioni, soprattutto per gli scaricatori più esagerati, ciò non può costituire una soluzione o un deterrente, stando ai fatti.

Multe o non multe il fenomeno persiste e continua a creare danni non solo a livello nazionale, ma anche a livello delle singole aziende che vedono le vendite dei loro prodotti informatici crollare velocemente.

Sicuramente misure drastiche come quella francese possono probabilmente raggiungere dei risultati (questo solo il tempo potrà  dirlo), ma al di fuori del territorio nazionale come controllare che il copyright non sia violato? La risposta a questa domanda viene proprio dallo scenario che la pone.

È vero che la nuova era digitale ha richiesto una ridefinizione degli usuali concetti di proprietà  intellettuale, di opera dell’ingegno, di copia e di mercato stesso; ma è pur vero che le nuove tecnologie offrono strumenti in grado di garantire essi stessi il rispetto della legge.

DRM è l’acronimo di digital right management, la dottrina che si occupa delle misure tecnologiche di protezione attraverso crittografia digitale. Spesso oggi si parla, infatti, di Trusted system o di Trusted computing indicando l’insieme di autotutele che il software o l’harware offrono per garantire il rispetto delle leggi sul copyright.

Un esempio interessante è offerto dal sistema operativo Windows Vista che ad esempio prevede un programma (Genuine Software Initiative) per riconoscere le copie pirata o crackate e impedire aggiornamenti e altri servizi.

Proteggere i propri prodotti multimediali oggi è possibile in modo da non dover temere il WWW e i programmi P2P. Parallelamente, però, per tutti coloro, PMI comprese, che credono di fare i furbi continuando a pirateggiare sulla rete le possibilità  di non essere rintracciati diminuiscono sempre più, mentre aumentano le già  salate multe.