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Manovra 2019: sotto l’albero solo carbone

di Simone Cosimi

22 Novembre 2018 14:49

La bocciatura della Legge di Bilancio isola il Paese e il suo esecutivo nazionalpopulista: una batosta che potrebbe commissariare la nostra politica economica.

Forse Salvini ha avuto un’infanzia complessa. O forse no. Comunque sia, non ricorda, evidentemente, che le letterine non le spedisce Babbo Natale: sono i piccoli, ansiosi di ricevere i doni desiderati, a recapitargliele. Insomma funziona al contrario.

Detto questo, molto probabilmente più che con Santa Claus l’Italia – e i suoi disastrati conti economici – avrà presto a che fare con la Befana. E il carbone che ci porterà il nuovo anno, insieme a una sonora richiesta di manovra correttiva.

La Commissione Europa ha bocciato la Legge di Bilancio targata Di Maio-Salvini di cui il Parlamento sta discutendo in queste settimane. Non vanno bene i numeri, certo, ma soprattutto non va bene la dinamica: non si abbassa il debito, fermo alla soglia monstre del 131%, e si rischia di mettere in campo una serie di provvedimenti solo virtualmente espansivi, come va ripetendo da settimane il premier dimezzato Giuseppe Conte. Perché ciò che mettono in tasca lo tolgono fra tagli e spese per interessi.

=> Legge di Bilancio 2019 e decreti collegati

Spenderemo oltre 30 miliardi in deficit ottenendo scarsi effetti sul medio-lungo periodo (ma alcuni, sulle aziende, immediati e negativi) scardinando il sistema previdenziale, iniettando nuove ingiustizie generazionali (quota 100 sulle pensioni) o sociali (condoni) senza che questo abbia effetti sensibili sul PIL. Chi si bea della stima dell’ISTAT, che ha valutato nello 0,3% l’impatto sul PIL del reddito di cittadinanza, non sa che il reddito di cittadinanza non potrà essere, per ragioni tecnico-strutturali, operativo prima della metà dell’anno e comunque portandosi appresso un gran fardello di pasticci. Secondo molti, il non rischia tanto sul se ma sul come il reddito sarà messo in campo.

Dunque, mentre lo spread si mantiene stabilmente sopra quota 300 punti base costringendoci a pagare interessi mostruosi per rifinanziare (e con enorme fatica, nel 2019 andrà malissimo visto che a gennaio ci serviranno 51 miliardi e nel 2020 le banche dovranno rimborsare i prestiti Tltro, i piani di rifinanziamento a lungo termine decisi da Mario Draghi), la campagna elettorale per le europee si gioca fondamentalmente sulla legge di Bilancio del nostro Paese. Cioè sulle tasche di quei cittadini convinti da una propaganda scatenata che il problema sia fuori e non in casa, che i cattivi siano a Bruxelles e non in chi, in modo inedito, ha deciso di porsi al di fuori delle regole della moneta unica e dell’Ue nella scommessa di incassare il solito dividendo nelle urne di maggio. Costi quel che costi, perfino un incidente irreversibile.

È dunque partito, di fatto, il percorso europeo che porterà – senza correttivi pesanti alla manovra – alla procedura d’infrazione per violazione della regola sul debito.

=> Come funziona la procedura d'infrazione per debito eccessivo

Il 22 gennaio 2019, con la riunione dei ministri delle Finanze Ue (Ecofin), si trasformerà in raccomandazioni pesanti per raddrizzare l’economia nazionale: da una manovra bis da una ventina di miliardi alla vigilanza stringente sugli impegni. Di fatto, un semi-commissariamento al quale, se non daremo seguito nei mesi risistemando i conti, seguiranno le sanzioni fino allo 0,5% del PIL. Ma soprattutto, la nullità politica in Europa, ben più profonda di quella attuale.

Se infatti i nazionalpopulisti al comando immaginano che dalle urne possa spuntare una Commissione UE più vicina alle loro isteriche istanze, sbagliano di grosso: la serietà di Bruxelles è il prerequisito della tenuta di un’Unione puntellata di minacce, dalla Polonia e dall’Ungheria che violano i diritti civili ai fardelli Grecia e Italia.

Se cadesse l’affidabilità della cabina di comando europea – chiunque ci sia al comando – crollerebbe l’impalcatura continentale, innescando una crisi epocale che ci proietterebbe rapidamente allo scenario pre-1957.

Dunque, a Conte non basterà una cena a Bruxelles con Juncker – costantemente bullizzato verbalmente dai suoi viceministri – né i mezzi messaggi di pace: “Siamo responsabili, non c’è nessuna presunta ribellione all’Ue” ha detto, col solito teatrino de presunto interesse degli  italiani, per il quale “non siamo disposti a rinunciare a nulla”. Gli unici interessi degli italiani sono quelli che le banche aggiungeranno ai rapporti con loro, a partire dai mutui, per recuperare il valore perduto dei 364 miliardi di euro in titoli del Tesoro che tengono in pancia e che perdono valore ogni giorno che passa.

Anche il fine economista Di Maio interviene, in teoria aprendo al dialogo (“Ci sono margini di dialogo con l’Unione europea”) ma poi aggiungendo: “Bruxelles non ci chieda di tradire gli italiani, no alla macelleria sociale“. La macelleria sociale, forse non è chiaro al super-ministro dello Sviluppo economico, arriverà col carbone di gennaio – e forse prima, con un’altra letterina recapitata sotto l’Albero di Natale allestito dal trio Juncker-Moscovici-Dombrovskis – quando tutti i 26 Paesi (teniamo fuori la Gran Bretagna) ci chiederanno di tagliare il deficit, rinviare i provvedimenti più iniqui e costosi, rispettare gli impegni sul debito. Oppure di metterci responsabilmente fuori dalla famiglia europea dopo aver contribuito a farla fiorire.