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Retribuzioni a picco: l’Italia affonda

di Alessandro Vinciarelli

Pubblicato 27 Gennaio 2012
Aggiornato 24 Giugno 2013 12:02

Allarme ISTAT sul divario tra retribuzioni e prezzi, il più grave da 17 anni: inflazione alle stelle, costo della vita insostenibile, salari fermi e ai minimi da 12 anni, contratti scaduti senza alcun rinnovo.

La differenza tra retribuzioni dei lavoratori italiani e costo della vita registra un record storico, mai così alta dal 1995: il gap retribuzioni-prezzi è il più grave da 17 anni a questa parte, e i salari sono i più bassi degli ultimi 12 anni.
I dati ISTAT di dicembre fotografano il divario tra lo scarso incremento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,4%) ed picco d’inflazione (+3,3%), con salari invariati.

A peggiorare il quadro è la situazione dei rinnovi di contratto: in attesa di una decisione ci sono ben 30 accordi contrattuali.
A dicembre non è stato raggiunto nessun accordo tra i contratti monitorati dall’indagine ISTAT, lasciando a bocca asciutta gran parte dei dipendenti (il 31,4% della forza lavoro complessivo, di cui circa il 10,7% delle imprese private).

Stiamo parlando di un’attesa media per i lavoratori – per un rinnovo di contratto scaduto – in media di oltre 2 anni, addirittura 27,6 mesi per il settore privato nel suo complesso. 

Sul tema Raffaele Bonanni, segretario Generale della Cisl, ha commentato: «per alzare i salari e far ripartire i consumi fermi, occorre un patto sociale per la crescita, il lavoro e l’equità.

Le previsioni per l’Italia rilevano una situazione di recessione con pesanti implicazioni in termini di redditi di famiglie e di occupazione.
Serve un vero negoziato tra Governo, forze politiche e sindacati».

L’analisi ISTAT illustra infine come alcuni settori abbiano subito un rialzo positivo significativo, come i comparti militari-difesa (3,3%), forze dell’ordine (3,1%), gomma, plastica e lavorazioni minerali non metallifero (3,0%), mentre alcuni sono rimasti pressoché invariati. I più statici sono i ministeri e scuola (0,2%), regioni e autonomie locali e servizio sanitario nazionale (0,3% in ambedue i casi).