
Il contratto di lavoro part-time offre ai datori di lavoro il vantaggio di costi ridotti e garantisce al lavoratore il diritto pieno alla pensione al raggiungimento della stessa età pensionabile rispetto ai lavoratori a tempo pieno. La differenza è che, con il tempo parziale orizzontale (ossia quando si lavora con orario ridotto ma tutti i giorni, ad esempio dalle 9 alle 13) ai fini previdenziali c’è un diverso impatto sull’importo dell’assegno di cui bisogna tenere presente, soprattutto se si sta valutando questa opzione rispetto al full-time.
Lo svolgimento del tempo parziale non determina dunque un allungamento dell’età pensionabile ma una minore contribuzione, che incide sulla misura finale della pensione. Vediamo come, quanto e perché.
Pensione dopo part-time
La retribuzione percepita con il part-time è ovviamente inferiore di quella che si percepirebbe per lo stesso lavoro, svolgendolo full-time. Questo ha un ovvio impatto sull’importo della pensione futura, soprattutto per la parte calcolata con il sistema contributivo, con il quale verranno calcolate praticamente tutte le pensioni future. Ricordiamo, infatti, che per chi è entrato nel mondo del lavoro dopo il 1995 la pensione viene calcolata con il sistema contributivo puro.
Pensione contributiva
La pensione contributiva si ottiene moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione. Come per gli altri contratti da lavoro dipendente, anche per il part-time il montante contributivo è pari al 33% della retribuzione, che essendo più bassa di quella full-time comporterà una contribuzione notevolmente inferiore.
Diversamente, l’eventuale parte dell’assegno determinata con il sistema retributivo non viene svalutata, anche se si sceglie di svolgere gli ultimi periodi di lavoro pre-pensione in modalità part-time. Anche nel pubblico impiego, per la determinazione delle quote retributive di pensione, si continua ad utilizzare il valore della retribuzione teoricamente prevista per il rapporto di lavoro a tempo pieno.
PS: l’INPS consente di richiedere il riconoscimento del part-time in tempo pieno ai fini del raggiungimento dei requisiti di anzianità lavorativa ai lavoratori che svolgono attività a tempo parziale verticale o ciclico.
Età pensionabile dopo il part-time
Per quanto riguarda il raggiungimento dell’età pensionabile, nel settore privato i periodi di tempo svolti in part-time (orizzontale o verticale) vengono conteggiati al pari di quelli svolti in full-time a condizione che sia stato rispettato il minimale INPS per il lavoro dipendente (circa 205 euro settimanali), ai sensi dell’articolo 7 del Dl 463/1983.
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Nel settore pubblico viene meno questo vincolo, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge n. 554 del 1988 secondo il quale, ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione e del diritto all’indennità di fine servizio, gli anni di servizio ad orario ridotto sono da considerarsi sempre utili per intero.
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Requisiti per i contributivi puri
Coloro che sono entrati o entreranno nel mondo del lavoro dopo il 1995 devono inoltre valutare il fatto che questo sistema richiede, per l’accesso alla pensione di vecchiaia, che l’assegno previdenziale sia pari ad almeno 1,5 volte il valore dell’assegno sociale (circa 650 euro al mese). Soglia per raggiungere la quale, in caso di lavoro part-time, potrebbe essere necessario allungare la carriera lavorativa.
Al raggiungimento di 70 anni di età è invece possibile uscire al mondo del lavoro a prescindere dall’importo soglia.
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Part-time pre-pensione con staffetta generazionale
Il governo Meloni sta valutando l’idea di introdurre la staffetta generazionale nei luoghi di lavoro, con l’obiettivo di favorire la sostituzione dei lavoratori anziani. Il progetto potrebbe essere incluso nella prossima Legge di Bilancio e prevede il part-time negli ultimi due (o quattro) anni prima del ritiro e l’assunzione agevolata di under 35.
Questo approccio si basa sull’idea di aiutare la sostituzione dei lavoratori prossimi all’uscita e di rimodularne il pensionamento, beneficiando delle agevolazioni fiscali per le imprese.
In pensione prima aprendo ai giovani
Le aziende con almeno 50 dipendenti potrebbero stipulare contratti di due anni con i lavoratori pensionandi (oppure con quelli in pensione da non più di 24 mesi), con l’obiettivo di far svolgere loro un ruolo di tutoraggio e monitoraggio per i giovani dipendenti sotto i 30 anni se diplomati e sotto i 35 anni se laureati, che sarebbero anch’essi assunti a tempo indeterminato.
Il costo finale per l’azienda dovrà essere neutro, ovvero la somma dei costi del nuovo assunto giovane e del lavoratore in part-time non dovrà superare il salario pieno del secondo.
Pensione part time modello scandinavo
In alternativa, sempre con l’idea nuova idea di implementare la staffetta generazionale all’interno delle aziende e di agevolare il trasferimento di competenze all’interno delle aziende, c’è l’opzione di consentire ai lavoratori anziani di passare direttamente a un lavoro part-time, seguendo il modello di alcuni paesi scandinavi (c.d. pensione part time modello scandinavo).
Il modello scandinavo prevede spesso la possibilità di pensionarsi a tempo parziale, con una riduzione graduale dell’orario di lavoro anziché un passaggio netto dal lavoro al pensionamento.
Nei Paesi scandinavi, come Norvegia e Svezia, il concetto di pensionamento “part time” è stato sperimentato con successo per diversi anni, prevedendo una graduale riduzione dell’orario di lavoro nell’arco di due o tre anni. Un esempio concreto arriva dalla Svezia, dove i dipendenti pubblici possono richiedere una pensione parziale continuando a lavorare almeno il 50% delle ore previste dal loro contratto.
La richiesta può essere avanzata dal mese in cui il dipendente compie 61 anni fino al mese precedente a quello in cui compie 65 anni, età in cui può andare regolarmente in pensione. Il livello di pensione parziale richiesto può variare dal 10% al 50% dell’orario previsto dal contratto e l’importo ricevuto dipende dalle ore lavorate.
In pratica, il dipendente non smette del tutto di lavorare, ma riduce progressivamente le ore fino al raggiungimento dell’età pensionabile, creando un sistema misto di lavoro e pensione. Ciò facilita il passaggio delle competenze e favorisce il ricambio generazionale. Una volta concessa la pensione parziale, il dipendente viene considerato a tempo parziale e l’orario viene rimodulato in base alle esigenze dell’azienda.
Applicazione in Italia con la riforma pensioni
Tuttavia, uno dei principali ostacoli di attuare anche in Italia una sorta di pensione part time sul modello scandinavo sono i costi associati. La seconda Finanziaria del governo Meloni prevede già un budget di due miliardi di euro per la previdenza, escludendo la rivalutazione delle pensioni, che potrebbe richiedere fino a 13 miliardi di euro.
Tra le misure confermate ci sono Quota 103, l’APe Sociale e Opzione Donna, con un possibile allargamento della platea per quest’ultima a coloro che hanno 35 anni di contributi, anche se l’età di pensionamento potrebbe essere aumentata.
Sempre per quanto riguarda Opzione Donna, si sta considerando la possibilità di rimuovere il requisito dei figli per le lavoratrici che attualmente beneficiano di questa agevolazione, consentendo loro di andare in pensione già a 58 anni, anche senza figli.
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Tra gli obiettivi del Governo c’è inoltre quello di aumentare le pensioni minime a 700 euro, ma potrebbe essere fissato uno step intermedio a quota 650 o 670 euro, il via libera dipende dalla linea di Antonio Tajani e dall’approvazione del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. In generale, la copertura finanziaria è ancora oggetto di discussione.
Quanto prende di pensione un part time?
L’importo della pensione per chi ha lavorato part time dipende dal sistema di calcolo applicato, dal montante contributivo accumulato e dal coefficiente di trasformazione. In generale, il lavoro part time non incide sul diritto alla pensione, ma solo sulla misura del trattamento pensionistico. Un anno di lavoro part time vale quanto un anno di lavoro a tempo pieno ai fini del raggiungimento dei requisiti anagrafici e contributivi per la pensione.
Tuttavia, abbiamo visto che il lavoro part time comporta una retribuzione inferiore al lavoro a tempo pieno e quindi anche un versamento di contributi previdenziali inferiore. Questo significa che il montante contributivo, ovvero la somma dei contributi versati nel corso della vita lavorativa, sarà più basso per chi ha lavorato part time rispetto a chi ha lavorato a tempo pieno.
Calcolo pensione part-time
Il montante contributivo è uno degli elementi che determina l’importo della pensione calcolata con il sistema contributivo, che si ottiene moltiplicando il coefficiente di trasformazione per il montante contributivo stesso.
Il coefficiente di trasformazione è un parametro che dipende dall’età anagrafica e dal sesso del lavoratore al momento del pensionamento e che tiene conto della speranza di vita media. Più alto è il coefficiente di trasformazione, più alta sarà la pensione.
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Qual è il minimo di ore part-time per una pensione con contributi pieni?
Non sempre un anno di lavoro equivale a un anno di contributi pensionistici, soprattutto per chi lavora a tempo parziale, soprattutto a poche ore. C’è il rischio, infatti, che ai fini della pensione una settimana di lavoro part-time non dia diritto al riconoscimento di una settimana contributiva, e di conseguenza alla fine dell’anno ci si ritroverà con meno versamenti rispetto a quelli attesi.
Ciò avrà conseguenze non solo sull’importo della pensione futura, ma anche per il raggiungimento del diritto alla stessa: si pensi, ad esempio, a una persona che ha lavorato per 20 anni con contratto part-time ed è convinta che questo sia sufficiente per accedere alla pensione di vecchiaia a 67 anni, per la quale appunto sono richiesti 20 anni di contributi.
Tuttavia, una volta effettuato l’estratto conto contributivo si renderà conto che i contributi accreditati non raggiungono i 20 anni richiesti e di conseguenza, a meno che non decida di riscattare gli anni mancanti, non potrà accedere alla pensione di vecchiaia.
Requisiti e calcolo
Non c’è un minimo ore part-time per una pensione per contributi pieni: il requisito essenziale per ottenere una pensione completa sono i contributi previdenziali, non il numero di anni di lavoro.
Per il settore privato in Italia, i periodi di lavoro part-time, che siano orizzontali (con una riduzione delle ore lavorative settimanali) o verticali (con una riduzione delle giornate lavorative settimanali), vengono considerati alla pari di quelli svolti a tempo pieno solo se viene rispettato un requisito fondamentale: il minimale INPS per il lavoro dipendente.
Questo valore è fissato annualmente in base alla rivalutazione delle pensioni, è pari al 40% del valore annuo del trattamento minimo di pensione ed è soggetto a continui cambiamenti.
Nel 2023, ad esempio, il trattamento minimo INPS per la pensione è di 572,74 all’anno. Questo significa che la retribuzione settimanale minima necessaria per l’accredito dei contributi pieni è di 229.096 euro, con una soglia annuale di 11.5912,68 euro.
In pratica, se la retribuzione percepita da un lavoratore part-time è inferiore a questa soglia, il periodo lavorato non verrà riconosciuto per intero, ma sarà soggetto a una riduzione proporzionale di quanto versato.
Misura della pensione
Un esempio può aiutare a capire meglio questo concetto. Supponiamo che un lavoratore svolga un lavoro part-time con un orario settimanale di 20 ore, mentre per i lavoratori a tempo pieno è di 40 ore. Se in un anno ci sono state 52 settimane in cui il lavoratore ha svolto almeno un giorno di lavoro, il calcolo sarebbe il seguente: 20 ore (orario part-time) moltiplicate per 52 settimane danno un totale di 1.040 ore lavorate e retribuite. Dividendo 1.040 per 40 (orario settimanale a tempo pieno), si ottengono 26 settimane utili per il calcolo della pensione.
Pertanto, lavorando con queste condizioni, per raggiungere i 20 anni di contributi richiesti per l’accesso alla pensione di vecchiaia (pari a 1.040 settimane, pari a 20*52), sarà necessario lavorare per circa 36 anni (=1.040/29).
Il ruolo chiave dell’orario di lavoro
Questo per quanto concerne le settimane utili per il calcolo della pensione, poiché l’importo della pensione vine calcolato prendendo in considerazione l’anzianità di servizio relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e, in modo proporzionale all’orario svolto, l’anzianità di servizio prestata a tempo parziale.
Le ore retribuite per il lavoro part-time di ciascun anno devono essere divise per l’orario settimanale previsto per i lavoratori a tempo pieno. Il risultato di questa divisione, arrotondato per eccesso, rappresenta il numero di settimane considerate per il calcolo dell’assegno pensionistico. È importante tenere presente queste considerazioni quando si sceglie il lavoro part-time e si pianifica il futuro pensionistico.
Diritto alla pensione
Il diritto alla pensione si basa sull’anzianità di servizio, indipendentemente dal fatto che si tratti di lavoro a tempo pieno o part-time. Gli anni di lavoro part-time sono conteggiati allo stesso modo di quelli a tempo pieno, a condizione che si rispetti il contributo minimo richiesto. Tuttavia, se la retribuzione per le ore lavorate è inferiore al minimo richiesto, l’anzianità contributiva verrà ridotta proporzionalmente.
Esempi pratici
Per illustrare questo concetto, consideriamo un esempio: un lavoratore ha svolto un lavoro part-time orizzontale per 52 settimane in un anno, lavorando al 50% dell’orario previsto per un lavoro a tempo pieno.
Ha guadagnato €10.000 nell’anno, mentre il minimo richiesto per coprire 52 settimane è di €11.5912,68. Pertanto, le settimane utili per il diritto alla pensione sono 46, poiché €8.168,16 diviso per 52 settimane equivale a €229,096 come minimo settimanale per l’anno 2023. Di conseguenza, €10.000 diviso per €229,096 equivale a 43,6 settimane, che vengono arrotondate a 44 settimane.
Nel caso del lavoro part-time verticale, i periodi non lavorati e non coperti da contribuzione obbligatoria possono essere riscattati su richiesta del lavoratore.
Come si calcola la pensione part-time?
Il calcolo dell’importo della pensione nel caso di lavoro part-time è influenzato principalmente dal sistema di calcolo contributivo. In questo sistema, l’importo della pensione dipende esclusivamente dalla retribuzione percepita e dagli anni di lavoro. Nel caso del lavoro part-time, in cui la retribuzione è inferiore a quella per un lavoro a tempo pieno, l’importo dell’assegno pensionistico sarà ridotto di conseguenza.
Nel dettaglio, nel sistema contributivo, l’importo della pensione si ottiene moltiplicando il coefficiente di trasformazione per il montante contributivo. Per il lavoro part-time, questo montante contributivo è pari al 33% della retribuzione, il che significa che più sono i periodi di lavoro a tempo parziale, più basso sarà l’importo della pensione futura.
Retributivo e contributivo a confronto
È importante ricordare che, come sopra riportato, questa situazione non si applica al calcolo retributivo della pensione, che non subisce una svalutazione dell’assegno in presenza di periodi di lavoro part-time. Tuttavia, per chi è interamente nel sistema contributivo, non è sufficiente aver raggiunto l’età di 67 anni e accumulato 20 anni di contributi per ottenere la pensione di vecchiaia.
È necessario che l’assegno superi almeno 1,5 volte il valore dell’assegno sociale. Questo può essere un obiettivo difficile da raggiungere in presenza di un lungo periodo di lavoro part-time, ritardando il pensionamento.
Un esempio pratico
Per fare un esempio, supponiamo che due lavoratori abbiano entrambi 67 anni e abbiano versato 20 anni di contributi, ma uno abbia lavorato a tempo pieno e l’altro a part time al 50%.
Supponiamo inoltre che il coefficiente di trasformazione sia pari a 5,5% per entrambi. Se il lavoratore a tempo pieno ha una retribuzione media annua di 30.000 euro e il lavoratore a part time ha una retribuzione media annua di 15.000 euro, il loro montante contributivo sarà rispettivamente:
- 30.000 x 0,33 x 20 = 198.000 euro per il lavoratore a tempo pieno
- 15.000 x 0,33 x 20 = 99.000 euro per il lavoratore a part time
La loro pensione annua sarà quindi:
- 198.000 x 0,055 = 10.890 euro per il lavoratore a tempo pieno
- 99.000 x 0,055 = 5.445 euro per il lavoratore a part time
Come si può vedere, la pensione del lavoratore a part time è circa la metà di quella del lavoratore a tempo pieno, pur avendo lo stesso numero di anni di contributi.