
Con la sentenza n. 8419/2018, la Corte di Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento in caso di inabilità al lavoro sopravvenuta se il dipendente non è più in grado di svolgere le mansioni precedenti e non vi è possibilità di ricollocazione in mansioni alternative, anche inferiori.
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Bilanciamento interessi
I giudici chiariscono che, in caso di invalidità permanente, il datore di lavoro deve verificare se nella propria organizzazione esistono posizioni di lavoro confacenti, anche se di livello inferiore, ma l’eventuale ricollocazione del dipendente non deve essere in conflitto con l’interesse dell’impresa.
In pratica l’assegnazione in altra mansione deve essere compatibile con gli interessi datoriali e, comunque, non deve essere tale da snaturare l’organizzazione dell’impresa.
In sostanza, sulla base del principio di bilanciamento dei diversi interessi di conservazione del posto e libertà di impresa, deve essere ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente che abbia sviluppato una permanente inabilità al lavoro, a condizione che nell’ambito dell’organizzazione aziendale non sussistano posizioni alternative, anche di contenuto professionale inferiore, cui adibire il dipendente in un’ottica di salvaguardia del posto di lavoro.
Pertanto, se l’assegnazione a nuove mansioni funzionali alla conservazione del posto comporta un disallineamento rispetto all’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore, viene meno l’onere di ricollocare il dipendente e la risoluzione del rapporto di lavoro è pienamente legittima.
Conservazione lavoro
Al contrario, se al lavoratore possono essere assegnate altre mansioni di contenuto equivalente o, in loro mancanza, di natura inferiore, la sopravvenuta infermità permanente del dipendente non costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento per impossibilità della prestazione lavorativa, a meno che non sia lo stesso interessato a negare il proprio consenso a ricoprire le mansioni proposte.