FESR: Fondi europei per Pmi e Sud sprecati dalla PA

di Filippo Davide Martucci

Pubblicato 21 Gennaio 2012
Aggiornato 4 Aprile 2014 11:19

Rischiano di andare in fumo le preziose risorse destinate alle imprese e ai servizi del mezzogiorno, ma la PA sembra remare contro...

Il divario economico tra Nord e Sud permane ancora oggi, dopo un secolo e mezzo dall’unificazione d’Italia. E a poco sono servite negli anni le misure prese dallo Stato. Nodo cruciale per lo sviluppo di tutto il Paese, secondo Confindustria con il suo ritardo pesa sulla ripresa economica: per 21 milioni di residenti nel Mezzogiorno, il reddito medio annuo è di 17mila euro (-70% della media europea).

Un aiuto in più sono i fondi europei per Pmi e Mezzogiorno.
Attraverso il fondo strutturale FESR (Fondo europeo di sviluppo regionale), ad esempio, l’Unione Europea finanzia infrastrutture e insediamenti produttivi.

Il FESR fa il paio con il Fondo sociale europeo – FSE per l’inserimento nel mondo del lavoro di disoccupati e soggetti appartenenti a categorie svantaggiate.

Il FESR è particolarmente interessante per le piccole e medie imprese del Sud: la scarsità di servizi e infrastrutture rallenta la produttività e dunque il FESR è lo strumento giusto.

Ma possono i fondi europei concorrere seriamente allo sviluppo del Sud?

I numeri offrono una visione chiara: nel periodo 2007-2013 le regioni interessate dall’Obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Basilicata) possono contare su 43,6 miliardi di euro, tra fondi diretti e cofinanziamento. Tuttavia, a dicembre 201 erano stati rendicontati pagamenti pari al 9,6% appena della somma a disposizione (contro una media Ue che raggiunge quasi il doppio)!

Il mancato utilizzo dei fondi strutturali non è l’unico problema da superare. Tra il 2000 e il 2006 al Sud sono stati finanziati più di 250mila progetti, di cui un quarto riguardavano le imprese, ma la competitività è rimasta al palo (-20% rispetto alle imprese del Nord Italia).

Secondo Confindustria il divario potrebbe essere colmato solo se la produttività del lavoro al Mezzogiorno crescesse del 16% e se il numero degli occupati salisse da 6,5 a 9,8 milioni (+16%). Ma per raggiungere questi obiettivi in tempi non troppo entusiastici (15 anni) il Mezzogiorno dovrebbe crescere del 6% l’anno. Ciò non sarebbe impossibile, tenuto conto dei risultati di altri Paesi europei: un milione di posti di lavoro (l’80-90% nelle Pmi) e finanziamenti a 1,3 milioni di piccole e medie imprese hanno. Senza contare la costruzione di 1.200 km di linee ferroviarie ad alta velocità e 4.700 km di autostrade, direttici fondamentali per lo sviluppo di determinate aree. Ma siamo in Italia….

L’utilizzo delle risorse in Italia va a rilento e, come rilevato da Cristina Coppola, vicepresidente di Confindustria per il Mezzogiorno, «si corre il rischio di perdere i fondi europei, visto che l’uso delle risorse ancora va a rilento e da qui a fine anno dobbiamo utilizzare oltre 7 miliardi di euro nel programma 2007-2013».

La responsabilità non è tanto della presunta scarsa attenzione delle imprese del Sud ma, stando ai dati Censis, alla Pubblica Amministrazione. Per il il 47,9% degli intervistati in un’indagine a campione, il funzionamento dell’amministrazione sul territorio è inefficiente e per il 44,7% scarso: il male peggiore del Mezzogiorno risulta essere la «pervasività delle logiche clientelari che governano il rapporto tra pubblico e privato, tra istituzioni e società».

I fondi Ue sono un’opportunità sprecata: per farli fruttare devono essere accompagnati da politiche di sviluppo lungimiranti e non metterli a disposizione di una classe politica che non si mostra in grado di geastirli.

Dal canto suo, anche il mondo d’impresa deve assumersi le proprie responsabilità: fornendo segnali precisi e obiettivi chiari, elaborando strategie finalizzate a incentivare la crescita, svincolare il mercato dalle logiche clientelari che sviliscono la voglia di investire e premiare il merito di chi ha voglia di mettersi in gioco rispettando le regole e creando sviluppo per tutto il mercato di riferimento.

La necessità di garantire spazio maggiore al mercato e aumentare la concorrenza sono sentite fortemente dagli imprenditori meridionali, come sottolineato ancora da Cristiana Coppola: «c’è il desiderio di una buona ordinaria amministrazione». Solo in questo modo i fondi dell’Unione Europea potranno davvero rappresentare uno strumento per «migliorare la qualità del territorio, dai servizi alle infrastrutture. Un requisito fondamentale se vogliamo cogliere i target strategici di crescita di Europa 2020, a partire dalla creazione di più posti di lavoro, e portare il Mezzogiorno in una dimensione europea».