Nel 1991 Mark Weiser, ricercatore del PARC (Palo Alto Research Center), pubblicò un articolo dal titolo “Il computer del XXI secolo” che può essere considerato il manifesto dell’ubiquitous computing. In pochi anni quello che sembrava il miraggio di uno scienziato visionario, prematuramente scomparso nel 1999, è ormai una realtà. Secondo Weiser, le tecnologie più forti sono quelle che non vediamo, esse s’intrecciano negli oggetti della vita di tutti i giorni e sono indistinguibili da essi.
Pensiamo alla scrittura, la prima tecnologia dell’informazione, oggi troviamo questa tecnologia dappertutto: non solo libri, riviste e giornali trasportano informazione scritta, ma anche i segnali stradali, le etichette dei vestiti, le insegne dei negozi.
Fino a poco tempo fa, la tecnologia basata sul silicio, invece, era lontana da essere considerata parte dell’ambiente. Milioni di PC erano stati venduti, tuttavia il computer rimaneva confinato nel suo mondo, avvicinabile solo attraverso un complesso gergo totalmente diverso dai compiti per i quali le persone usano veramente i computer. Lo stato dell’arte era analogo al periodo in cui gli scribi dovevano essere in grado di scrivere, ma anche fare l’inchiostro. Weiser e i suoi collaboratori al PARC furono i primi a considerare l’idea del calcolatore “personale” come punto di transizione verso la realizzazione del potenziale reale della tecnologia dell’informazione. Il passo successivo richiede di concepire un nuovo modo di pensare i calcolatori che tenga conto dell’ambiente umano naturale e che permetta agli elaboratori stessi di sparire sullo sfondo.
Una tale sparizione non è una conseguenza fondamentale della tecnologia, ma della psicologia umana. Ogni volta che la gente impara sufficientemente bene qualcosa, smette di essere consapevole di essa. Quando guardiamo un cartellone stradale, per esempio, assorbiamo le relative informazioni senza coscientemente effettuare l’atto della lettura. Soltanto quando le cose spariscono in questo modo noi sappiamo usarle senza pensare e mettere a fuoco quello che c’è oltre di esse. In questa prospettiva, “ubiquitous computing” non significa solo che i calcolatori possono essere usati in spiaggia o nella giungla: anche il notebook più potente, con accesso ad una rete di informazioni in tutto il mondo, ancora converge l’attenzione su una singola scatola trasformando lo schermo del calcolatore in un centro che esige attenzione piuttosto che farlo sbiadire nello sfondo. Come fanno le tecnologie a sparire nello sfondo?
Etichette, fogli e lavagne
Per realizzare l’ubiquità e assicurare una presenza discreta, i dispositivi elettronici devono avere dimensioni diverse, ciascuno adatto ad un’operazione particolare: etichette o cartellini delle dimensioni di centimetri, blocchi delle dimensioni di decimetri che si comportano come un foglio di carta (o un libro o una rivista) e schermi di grandi dimensioni che sono l’equivalente di una lavagna. Quante etichette, cartellini, fogli, libri e lavagne ci sono in una stanza? A seconda del contesto in cui ci si trova si possono vedere più di cento cartellini: i titoli sulle copertine dei libri, le etichette su interruttori, termostati ed orologi; dieci o venti blocchi e una o due superfici delle dimensioni di una lavagna. Tanti calcolatori in una stanza possono mettere a disagio inizialmente, proprio come centinaia di volt che scorrono attraverso i fili nelle pareti contemporaneamente. Ma come i fili nelle pareti, queste centinaia dei calcolatori saranno presto invisibili alla consapevolezza comune.
Smart tag
Etichette intelligenti o smart tag, che utilizzano la tecnologia RFID trovano già molteplici applicazioni:
- i passaporti (e-passport) riportano le informazioni relative ai cittadini e ai loro viaggi;
- contactless smartcard con tecnologia RFID per permettere l’accesso ai mezzi di superficie e alla metropolitana;
- tag per identificare e verificare la presenza di specifici prodotti in magazzino e conoscere le giacenze in tempo reale;
- in alcune aziende, l’accesso mediante porte motorizzate è reso più facile, così come la verifica automatica delle presenze all’interno di una determinata zona, l’avvio o l’arresto di un PC a seconda che il proprietario si trovi o meno nelle vicinanze;
- il funzionamento di una macchina o apparecchiatura solo in presenza di operatori autorizzati;
- assistenza e manutenzione degli impianti;
- rilevazione dei parametri ambientali;
- monitoraggio raccolta rifiuti;
L’evoluzione delle smart tag può essere individuata negli spime (neologismo derivante dalla fusione di SPACE + TIME), oggetti tracciabili con precisione nello spazio e nel tempo in quanto portatori di etichette elettroniche (RFID) o sensori GPS che li seguono nella loro storia e nell’interazione con il resto del mondo. Un ulteriore passo è stato, a maggio 2008, l’annuncio dell’invenzione dei Quickies: i post-it intelligenti. I Quickies, messi a punto dall’Ambient Intelligence Group del MIT, sono dotati di un chip RFID e l’intero blocchetto è appoggiato su un pad sensibile alla pressione; il messaggio, scritto con penna digitale, viene trasmesso a un PC che lo memorizza, ne interpreta il contenuto e lo invia al destinatario. Il dispositivo riconosce il contesto del testo memorizzato e lo cataloga in apposite categorie: rubrica, appuntamenti, anniversari, impegni. In questo modo è possibile aggiornare automaticamente la propria agenda ed essere avvisati per tempo degli impegni presi. Inoltre i quickies, a differenza dei post-it tradizionali, non andranno mai persi poiché il chip RFID consente comunque di ritrovarli.
Schermi flessibili
I dispositivi mobili, come i telefonini, devono essere di dimensioni ridotte, ma gli utenti apprezzano schermi grandi dove leggere e scrivere in modo confortevole. Nuove tecnologie mettono a disposizione schermi flessibili, pieghevoli o addirittura arrotolabili come un papiro, in modo che schermi sufficientemente grandi possono essere srotolati da piccoli contenitori.
Plastic Logic sta costruendo a Dresda la prima fabbrica di chip basati su materiali plastici. Tali chip saranno utilizzati per la costruzione di display flessibili a matrice attiva per lettori elettronici da prendere e leggere ovunque. Le caratteristiche di tali display saranno (oltre alla flessibilità): basso spessore, leggerezza e robustezza. Questo consentirà un’esperienza di lettura digitale molto più vicina alla carta di qualsiasi altra tecnologia. Questi schermi vengono presentati come i migliori dispositivi di lettura per gli e-book potendo essere maneggiati come i supporti cartacei e permettendo di portare con sé diversi libri in un solo foglio. I display saranno del tipo TFT (thin film transistor) costruiti con polimeri semiconduttori. La connettività wireless consentirà agli utenti di acquistare e scaricare un libro o ritirare l’ultima edizione di un giornale dove e quando desiderano.
Secondo le anticipazioni di Karl McGoldrick, CEO della società olandese Polymer Vision, nell’autunno di quest’anno verrà lanciato Readius, il primo telefonino con display avvolgibile, pensato per la lettura di documenti, giornali online e libri. Il telefonino sarà delle dimensioni di un cellulare standard, ma una volta “srotolato” il display (16 tonalità di grigio, alto contrasto con lettura confortevole anche sotto il sole splendente) la superficie di lettura sarà di ben 13 centimetri e permetterà all’utente di leggere in maniera confortevole una mail o un libro digitale. Lo schermo appare proprio come un display a cristalli liquidi, ma si può piegare in modo flessibile e si possono visualizzare circa 22 linee della pagina di un libro, a seconda del tipo di carattere; per voltare pagina basta mezzo secondo, con il semplice tocco di un dito; la batteria resiste per circa 30 ore di lettura. Readius verrà introdotto in Inghilterra, Italia e Germania in autunno e negli Stati Uniti all’inizio del 2009.
Nuove interazioni
«Vedere un oggetto e desiderare di toccarlo, è una delle reazioni più spontanee e immediate che un essere umano possa avere. E riuscire ad interagire con un computer usando semplicemente le mani, credo che sia il mezzo migliore per abbattere il muro tecnologico che ci separa». Jeff Han, ricercatore della New York University ha inventato l’“interface free”, una nuova interfaccia che permette di gestire le attività sullo schermo semplicemente toccandolo. Siamo ormai abituati a schermi tattili: basta un semplice prelievo al bancomat e lo schermo del terminale ci chiede di toccarlo per selezionare le opzioni scelte. Il progetto di Han fa molto di più: consente di intervenire sulle immagini ritagliandone delle porzioni, di disegnarne delle nuove istruendo il computer o di manipolare gli oggetti presenti sullo schermo con il solo ausilio delle dita.
Microsoft Surface è il primo prodotto di una nuova categoria chiamata “surface computing”, un PC Windows Vista integrato in un tavolo il cui piano è rappresentato da uno schermo da 30 pollici con sistema di puntamento tattile (touchscreen). Grazie al supporto wireless e Bluetooth, è sufficiente avvicinare a Surface un qualunque altro dispositivo dotato delle stesse interfacce, per effettuare la connessione. Un esempio di questo è dato dalle macchine fotografiche wireless: semplicemente ponendole sulla superficie, è possibile scaricare le foto dall’apparecchio a Surface e successivamente manipolarle con le dita.
Le applicazioni di Surface sono le più svariate e alcun grandi clienti come gli hotel Sheraton e i casinò Harrah lo stanno già utilizzando. AT&T è la prima compagnia ad avere Surface nel proprio listino e ha intenzione di metterlo a disposizione del pubblico nei suoi negozi, per meglio permettere ai potenziali acquirenti di comprenderne le potenzialità.