Il progetto si chiama “Ristoranti italiani nel mondo”, è già una realtà a Londra, Singapore, Praga, Barcellona, Città del Messico, Caracas, Dubai, Chicago. E l’obiettivo è quello di arrivare, entro la fine dell’anno, a quota 1000 ristoranti dislocati in tutto il pianeta.
Si tratta di un riconoscimento, una sorta di bollino di qualità, rilasciato da Unioncamere ai locali che si attengono a una serie di regole che li distinguano come reali testimoni del Made in Italy. Un’iniziativa a tutela della buona tavola e contro i tanti “taroccamenti” rappresentati da esercizi commerciali che si fregiano di un nome e magari anche di un menù italiano senza rappresentare degnamente la tradizione enogastronoomica della Penisola.
«Se, con questo progetto, riducessimo di un centesimo il fatturato realizzato con prodotti imitati o contraffatti, recupereremmo al made in Italy 500 milioni di euro», spiega il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. Con le cifre relative al valore del Made in Italy a tavola e al problema rappresentato dalla contrafffazine si potrebbe continuare all’infinito. Secondo le stime della Coldiretti, il fatturato globale delle imitazioni si aggira intorno ai 50 miliardi di euro. E allora, ecco un’iniziativa che tutela da una parte i consumatori e dall’altra una filiera produttiva molto importante per il paese.
Il progetto, curato da Unincamere, si avvale della collaborazione di Isnart (istituto nazionale ricerche turistiche), delle camere di commercio italiane all’estero coordinate da Assocamerestero, delle associazioni imprenditoriali del settore a partire dalla Fipe (federazione italiana pubblici esercizi), e dei ministeri degli Esteri, dello Sviluppo Economico, dei Beni Culturali e del Turismo.
I ristoranti che difendono il Made in Italy all’estero potranno esibire uno specifico bollino di “Ospitalità italiana, ristoranti italiani nel mondo”. Per ottenerlo, devono adeguarsi a quelli che si potrebbero definire i dieci comandamenti del buon ristoratore: nel locale deve esserci almeno una persona che parla italiano con gli avventori, l’ambiente deve contenere elementi distintivi della Penisola (quadri, foto, arredi, design), il menù deve essere scritto in italiano corretto, deve contenere almeno il 50% di ricette della nostra tradizione, il ristoratore deve fornire la descrizione di almeno cinque piatti made in Italy proposti nel menù, deve avere una carta dei vini con almeno il 20% di etichette italiane Dop o Igp (in ogni caso, devono essere di almeno cinque tipi diversi), in sala deve esserci almeno un olio extravergine italiano, il capo cuoco deve essere qualificato, il ristoratore deve impegnarsi nella valorizzazione delle dop e infine deve fornire un elenco di tutti i prodotti dop e igp utilizzati.
Si tenta così di difendere qualità e tradizione di un paese che vanta il 21% dei prodotti a denominazione controllata registrati a livello comunitario, 400 vini Doc, Docg e Igt, oltre 4mila prodotti censiti dalle Regioni e inseriti in un Albo nazionale, che è la prima destinazione al mondo per vacanze enogastronomiche (nel 2009 venduto dal 22,7% dei tour operator europei e dal 43% di quelli Usa), in cui il turismo enogastronomico vale 1,5 miliardi di euro (dati 2009).
«La tutela del Made in Italy è la prima battaglia del nostro paese», ha sottolineato il vice ministro allo Sviluppo Economico Adolfo Urso, ricordando gli interventi che l’Italia sta portando avanti al Wto, in Europa e all’interno dei confini nazionali. Dardanello ha ricordato che nella Penisola il marchio Ospitalità Italiana è presente con circa 6mila imprese certificate della filiera turistica.