Manager “wait and see”

di Fabrizia Ventura

6 Settembre 2010 08:00

L'atteggiamento attendista che delude e non paga

È un modo di affrontare la crisi, ci si chiede quando finirà e quali saranno i suoi effetti, ma forse sarebbe meglio domandarsi se il mondo economico sarà capace di sostituire il regime di sistemi poco integrati con un percorso d’integrazione ed espansione economica globale.

È difficile stabilire oggi quale direzione prenderà l’economia, ma è certo che il “day after” è già visibile nella sfida di cooperazione tra nazioni alla ricerca di soluzioni comuni, nella variazione perimetrale di mercati e settori come quello dell’auto e nel cambiamento dei comportamenti sociali.

In questo scenario, sbaglia il manager che, credendo nel ritorno di un regime pre-crisi opta per una visione inerziale del futuro. Il “wait and see”, ovvero attendismo, può essere fuorviante, più opportuno è passare all’azione.

Guardare in faccia alla realtà senza facile ottimismo o drammatico pessimismo stimando la reale capacità di resistenza al crollo totale. Bilanci, cash flow e profitti devono essere oggetto di trasparente autocritica. Meglio fare dell’impensabile una nuova logica di strategia per la costruzione di un nuovo futuro. Deverticalizzazione, off-shoring, diversificazione strategica potrebbero, infatti, non essere più soluzioni di business valide.

Come una battaglia, le imprese resistono al di là dei duri colpi ricevuti. Tentano di assicurare una maggiore dotazione di capitale, attente alle nuove esigenze del consumatore, alla concorrenza, alle nuove norme in materia fiscale, ambientale, di sicurezza sul lavoro e di privacy. Ma lo scenario dei prossimi anni le vedrà sempre più intente a snellire costi fissi e ad aumentare la flessibilità operativa per non crollare del tutto.

La scelta della direzione strategica da seguire non può attendere, meglio prendere atto della propria vulnerabilità per eventuali cambiamenti di rotta e leve aziendali su cui intervenire.

L’atteggiamento passivo del leader non paga, serve una buona dose di coraggio affinché governi e management possano “osare” non per tornare alla normalità, bensì per costruire una nuova normalità.