Nonostante abbiano a disposizione 11 giorni di congedo dal lavoro dopo il parto, i papà francesi che ne usufruiscono sembrano essere molto pochi. Proprio per diminuire il divario tra uomo e donna in ambito lavorativo, l’8 marzo, in occasione dei festeggiamenti di quest’ultima, la leader della Confindustria francese Laurence Parisot, ha proposto il congedo obbligatorio dei papà.
La donna, infatti, proprio per una questione biologica imprescindibile, non è sempre vista di buon occhio dalle aziende, in vista dell’eventualità di una gravidanza e dell’assenza dal lavoro che ne deriverebbe; i papà, d’altro canto, esitano persino a usufruire dei pochi giorni di assenza, pur se retribuiti e disponibili per legge.
L’unico modo per rendere paritario anche questo momento post parto è l’obbligo di congedo. Tra i francesi la proposta di legge sembra aver generato molti consensi e alzato qualche polemica, da parte soprattutto del sindacato delle piccole e medie imprese. La situazione appare molto diversa in paesi all’avanguardia come la Svezia, dove l’iniziativa non è affatto una novità; qui infatti il congedo dei neo papà è di 30 giorni retribuiti che possono anche essere suddivisi in 4 tappe durante il corso dell’anno.
Anche in Italia esiste il congedo di paternità ma gli uomini che intraprendono questa scelta sono pochi e soprattutto operai (20%) e impiegati (15%), mentre per quanto riguarda la sfera manageriale la media si abbassa notevolmente (3%). Sembra, infatti, che, nel nostro paese, il congedo parentale dei papà non sia ancora visto di buon occhio in ambito lavorativo. Nonostante ci siano molti uomini che sarebbero a favore di un congedo obbligatorio, forse anche perché si sentirebbero meno a disagio in quanto forzato, molti altri lo interpretano come un’imposizione su un aspetto intimo della vita delle persone, come dichiarato dallo scrittore e giornalista Pietrangelo Buttafuoco che, in un’intervista su Grazia, aggiunge:«È contro natura, anzi è un’ulteriore tappa di avvicinamento alla decadenza totale. E alla femminilizzazione, per non dire peggio, del maschio».