L’incendio nella sede Aruba di Arezzo, avvenuto alle 4 di notte circa del 28 aprile scorso, ha di fatto reso indisponibili una grandisima quantità di siti internet. Il datacenter colpito dalle fiamme conteneva complessivamente 1,5 milioni di siti web, che sono stati fermati almeno per non compromettere la sicurezza dei dati e dei servizi accessori offerti dalla società [Leggi il dettaglio di cosa è successo…].
Aruba, tra l’altro, è anche gestore PEC e DNS e pertanto prima di qualsiasi azione è stato necessario mettere in sicurezza i dati e le informazioni, mantenendone quanto più possibile l’integrità e la riservatezza
I “soccorsi” al CED sono partiti immediatamente, tanto che durante la mattinata del 29 aprile sono state ripristinate due delle tre sale che componevano il datacenter, mentre nel primo pomeriggio è stata sistemata l’intera alimentazione della server farm.
Tuttavia il black-out, che coinvolto oltre 1 milione di domini registrati e più di 1,5 milioni di clienti attivi, è ancora sotto l’occhio del ciclone. In parte perchénon è stata ancora spiegata la causa dell’incendio, forse dovuta a un corto circuito, e in parte perchéper i clienti è legittimo chiedere un risarcimento qualora il contratto contempli clausole circa la disponibilità dei servizi.
Per quest’ultimo motivo le associazioni di consumatori Adoc e Codacons a valutare la possibilità di intraprendere una class action, per avanzare una richiesta il risarcimento dei danni. La class action rappresenta infatti una recente possibilità per i consumatori, che possono unirsi per avanzare collettivamente una causa nei confronti di un’azienda o in generale in tutti i casi in cui ci sia stato un danno per il quale è possibile chiedere un risarcimento.
Sul piede di guerra, principalmente, si trovano le aziende di e-commerce, di strutture ricettive e turistiche che potrebbero lamentarsi della perdita di potenziali clienti in quelle ore.