La Fiat dal prossimo primo gennaio non farà più parte di Confindustria. La decisione è stata ufficialmnte comunicata dal Ceo del Lingotto, Sergio Marchionne, con una lettera alla presidente degli industriali Emma Marcegaglia. Marchionne aveva già preannunciato l’uscita da Viale Astronomia lo scorso 30 giugno, e ora il passo è diventato definitivo. Quindi, la prima azienda manifatturiera del paese non farà più parte della principale organizzazione degli industriali.
Una «decisione importante» ha sottolineato lo stesso Marchionne. A provocarla è stata in particolare la firma degli accordi interconfederali dello scorso 21 settembre, che secondo Fiat rischiano di depotenziare l’articolo 8 della manovra finanziaria, che prevede i contratti aziendali in deroga a quelli nazionali e alle leggi, comprese quelle sul licenziamento.
Il Ceo Fiat oggi ha fatto anche altri due annunci: uno riguarda Mirafiori, con la conferma che a Torino installerà la versione più aggiornata di una delle tre principali architetture sulla quale saranno prodotti diversi modelli dei vari marchi. Il primo modello, un suv a marchio Jeep, sarà prodotto a partire dalle seconda metà del 2013 (nel novembre 2010 era stato annunciato che questo modello sarebbe partito nel 2012, successivamente era stato preannunciato lo slittamento al 2013). A Mirafiori proseguirà anche la produzione dell’Alfa Romeo Mito, incluse nuove versioni e aggiornamenti. L’altro riguarda un nuovo motore a benzina turbo a iniezione diretta per il marchio Alfa Romeo, che sarà sviluppato in Italia e prodotto a partire dal 2013 nello stabilimento FMA di Pratola Serra, nella provincia di Avellino.
Dunque, il Ceo fornisce nuovi elementi sui piani industriali Fiat nel giorno in cui annuncia l’uscita dalla Confindustria.
Nella lettera inviata alla Marcegaglia, Marchionne spiega con chiarezza che il fatto scatenante è stata la firma dell’accordo interconfederale del 21 settembre, che ha «fortemente ridimensionato le aspettative sull’efficacia dell’articolo 8».
Ecco il ragionamento di Marchionne: «Negli ultimi mesi, dopo anni di immobilismo, nel nostro Paese sono state prese due importanti decisioni con l’obiettivo di creare le condizioni per il rilancio del sistema economico. Mi riferisco all’accordo interconfederale del 28 giugno, di cui Confindustria è stata promotrice, ma soprattutto all’approvazione da parte del Parlamento dell’articolo 8 che prevede importanti strumenti di flessibilità oltre all’estensione della validità dell’accordo interconfederale ad intese raggiunte prima del 28 giugno». La Fiat conferma il «pieno apprezzamento per i due provvedimenti che avrebbero risolto molti punti nodali nei rapporti sindacali garantendo le certezze necessarie per lo sviluppo economico del nostro Paese» e ribadisce che «questo nuovo quadro di riferimento, in un momento di particolare difficoltà dell’economia mondiale, avrebbe permesso a tutte le imprese italiane di affrontare la competizione internazionale in condizioni meno sfavorevoli rispetto a quelle dei concorrenti».
Ma poi, con la firma dell’accordo del 21 settembre «è iniziato un accesso dibattito che, con prese di posizione contraddittorie e addirittura con dichiarazioni di volontà di evitare l’applicazione degli accordi nella prassi quotidiana, ha fortemente ridimensionato le aspettative sull’efficacia dell’articolo 8». Il rischio è quello di «snaturare l’impianto previsto dalla nuova legge e di limitare fortemente la flessibilità gestionale».
Marchionne precisa che le decisioni dell’azienda «non sono politiche» e «non hanno nessun collegamento con i nostri futuri piani di investimento». Semplicemente, Fiat «è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 paesi e «non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze che la allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato».
L’azienda valuta la possibilità di continuare a collaborare, «in forme da concordare, con alcune organizzazione territoriali di Confindustria e in particolare con l’Unione Industriali di Torino».
E conclude spiegando che l’azienda utlizzerà «la libertà di azione applicando in modo rigoroso le nuove disposizioni legislative», e gestirà i rapporti con dipendenti e sindacati come previsto dagli accordi di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco».