Dopo il processo, giustizia è fatta: i manager della Eternit sono stati condannati a 16 anni di reclusione per disastro ambientale doloso e omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. Il pubblico ministero Raffaele Guariniello ha infatti condannato Stephan Schmidheiny e Jean Louis de Cartier per i danni alla salute provocati dall’amianto ai dipendenti che lavoravano negli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo oltre che ai residenti di queste zone del Piemonte.
Dopo 3 ore di camera di consiglio, si è messa la parola fine al procedimento più grande mai celebrato in Europa, considerando il numero di parti civili che hanno sfiorato quota 6mila, che vedono la loro domanda accolta sotto forma di risarcimento, che secondo le prime stime potrebbe toccare i 100 milioni di euro.
Di questi, un quarto andranno al Comune di Casale Monferrato; 20 milioni alla regione Piemonte, 15 all’Inail e 100.000 a sindacati e associazioni varie. Ai parenti di ciascuna vittima del disastro sarà corrisposta una cifra compresa fra i 30 e i 50mila euro mentre 35mila andranno a ciascun malato.
Ora la difesa potrebbe ricorrere in appello, anche se il rischio è quello di essere sottoposti a un altro processo – già definito “Eternit bis” – e correlato con i decessi post 2008, per i quali potrebbe arrivare anche una condanna di omicidio.
In pratica, il giudice ha ritenuto valide le prove che indicavano che i manager dell’azienda che produceva materiale per l’edilizia sapevano che l’amianto lavorato delle loro fabbriche in Italia provocava danni alla salute e all’ambiente. E nonostante ciò, non hanno fermato il processo produttivo secondo cui chi respirava quella polvere rischiava di ammalarsi seriamente ai polmoni con grave rischio di decesso.
L’ultimo sito produttivo della Eternit – quello di Casale Monferrato – ha comunque chiuso 26 anni fa dopo che accertamenti medici hanno stabilito che, nell’arco di 40 anni, i decessi sono stati 1.830, cui si aggiungono quelli che ogni anno muoiono per malattie contratte lì (una cinquantina ogni anno). Fra questi, oltre ai dipendenti dell’azienda, ci sono anche molti residenti della zona che l’hanno respirata nelle proprie case, portata inconsapevolmente dai propri familiari al ritorno dal lavoro.