Una recente sentenza della Cassazione fa luce su una spinosa questione che riguarda il rispetto della privacy dei lavoratori: è possibile attivare la videosorveglianza in azienda senza il consenso delle rappresentanze sindacali? La risposta è si, previa consultazione con gli stessi dipendenti e in assenza di obiezioni da parte dei diretti interessati.
Per potere installare una o più telecamere in azienda, quindi, è sufficiente il consenso dei lavoratori e non occorre rivolgersi alle Rsu. La sentenza della Corte di Cassazione, resa nota lo scorso 11 giungo, fa riferimento al caso di un’azienda di Pisa la cui titolare è stata accusata di violazione dello statuto dei lavoratori, andando contro l’articolo 4 che impone il divieto di controllare a distanza i dipendenti. Condannata in prima istanza dal Tribunale pisano, l’imprenditrice a capo della “Flow Energy” è stata invece assolta grazie alla nuova sentenza che ha giustificato il modus operandi dell’azienda e consente la videosorveglianza negli uffici senza dover attendere il parere di commissioni esterne, ma solo previa liberatoria firmata dai lavoratori.
Nel caso dell’impresa toscana, infatti, i dipendenti erano al corrente della presenza delle telecamere e avevano sottoscritto un documento esplicito acconsentendo al controllo a distanza, pertanto non si può parlare di violazione dello statuto dei lavoratori. Nella sentenza si legge infatti che: “Se è vero che non si trattava né di una autorizzazione della Rsu né di una commissione interna, logica vuole che il più contenga il meno, sicché non può essere negata validità ad un consenso chiaro ed espresso proveniente dalla totalità dei lavoratori e non soltanto da una loro rappresentanza. Del resto, non risultando esservi disposizioni di alcun tipo che disciplinino l’acquisizione del consenso, un diverso opinare, in un caso come quello in esame, avrebbe il taglio di un formalismo estremo tale da contrastare con la logica“.
Risale solo a pochi mesi fa un analogo responso della Cassazione in materia di insder trading, una sentenza – in questo caso è stato sancito il legittimo licenziamento di un ex dirigente della Bipop Carire – che dà il via libera al controllo delle email dei dipendenti se in ballo c’è il rischio di ledere l’immagine del gruppo.