Se l’Ilva fosse chiusa e non producesse più acciaio, il sistema paese ne pagherebbe le conseguenze con un “danno” di poco meno di 8 miliardi di euro ogni anno. A dirlo è il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, parlando al Senato e facendo i conti in tasca in maniera molto semplice: 6 miliardi deriverebbero dall’aumento delle importazioni dall’estero, 1,2 miliardi dal sostegno al reddito dei dipendenti e ai minori incassi della pubblica amministrazione e circa mezzo miliardo come minore capacità di spesa del territorio circostante allo stabilimento.
Il punto che ha voluto sottolineare il titolare del dicastero è che il gruppo Ilva è ancora un’azienda competitiva e che una sua uscita dal mercato farebbe la felicità dei concorrenti, che vedrebbero un aumento di fatturato proprio grazie a questo. Tuttavia, facendo sue le parole del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, lasciare aperto questo polo siderurgico non deve significare la presenza di una situazione di grave rischio ambientale per chi ci lavora e per i cittadini che risiedono a Taranto e dintorni.
E proprio Corrado Clini ha sottolineato che nel decreto legge per Taranto “non c’è un solo euro pubblico per l’Ilva” ma che ce ne sono invece per bonifiche ambientali nelle zone di Tamburi, Statte, Mar Grande e Mar Piccolo, oltre che nelle aree portuali e per un programma integrato di efficenza infrastrutturale, suggerito da Confindustria con il nome di Smart area.
Il titolare dell’Ambiente ha poi aggiunto che “le nuove misure e le nuove tecnologie da adottare richiederanno notevoli investimenti da parte dell’azienda, che dovrà intervenire in anticipo rispetto ai concorrenti siderurgici europei per adeguarsi alle nuove tecnologie”.
Corrado Passera ha poi sottolineato la competitività dello stabilimento Ilva si poggia su 3 fattori fondamentali: la possibilità di utilizzare un ciclo integrato nella produzione, la possibilità di reperire grandi quantità di materie prime da Paesi lontani tramite l’attracco di navi anche di grandi stazzae, infine, la possibilità di utilizzare stoccaggi importanti in funzione delle esigenze produttive. “Mancando queste condizioni – ha aggiunto rivolgendosi ai senatori – l’azienda sarebbe fuori mercato”.
L’ex CEO di Banca Intesa ha poi lasciato aperto uno spiraglio sul futuro dell’acciaieria su suolo pugliese: “Oggi siamo comunque in grado di creare le condizioni affinché l’Ilva di Taranto rientri nei limiti di sicurezza imposti dall’Unione europea, diventando così un’opportunità di sviluppo per la città”.