Scandalo Ikea: impiegati prigionieri politici ex Ddr

di Teresa Barone

19 Novembre 2012 11:00

Detenuti politici della ex Ddr usati come manodopera forzata da alcuni fornitori tedeschi del colosso svedese: Ikea ammette le colpe e si scusa.

Per l’azienda svedese nota in tutta Europa per la fabbricazione e vendita di mobili low cost è tempo di scandali, e di scuse: Ikea avrebbe utilizzato la manodopera forzata di prigionieri politici della ex Repubblica democratica tedesca nel corso degli anni ’80, stando a quanto rivelato da un rapporto presentato a Berlino e commissionato dallo stesso colosso dell’arredamento.

La vicenda è emersa grazie ad alcuni documentari trasmessi su una TV svedese e in seguito oggetto di verifiche da parte degli ispettori di Ernst & Young: secondo la relazione alcuni fornitori Ikea hanno effettivamente utilizzato il lavoro forzato di detenuti politici della ex Ddr per la fabbricazione di mobili, il tutto senza alcun intervento dell’azienda per bloccare questo tipo di sfruttamento.

=> Ikea investe in Italia

Da parte dei vertici Ikea sono subito arrivate parole di scuse e rammarico per quanto avvenuto, accompagnate dalla constatazione che all’epoca dei fatti non esistevano sistemi di ispezione adeguati in grado di mettere in luce comportamenti scorretti e illegali da parte dei fornitori. La manager del Gruppo Jeannette Skjelmose ha infatti sottolineato il profondo rammarico per quanto avvenuto chiarendo che: “All’epoca non avevamo ancora il sofisticato sistema di controllo che abbiamo oggi, ma non abbiamo fatto abbastanza per impedire una produzione del genere“.

Secondo quanto rivelato dal documento, inoltre, le azioni compiute ai danni dei detenuti erano ben note ad alcuni top manager Ikea, fatto che mette ancora più in cattiva luce la posizione dell’azienda. Da parte di quest’ultima, inoltre, ci sarà lo stanziamento di un contributo economico volto a favorire un progetto di ricerca sul lavoro forzato nell’ex Germania orientale portato avanti dalla tedesca Ukog (Unione delle organizzazioni delle vittime del dispotismo comunista).