Una sentenza della Corte di Cassazione fissa nuovi limiti per quanto concerne il licenziamento di un dirigente, che diventa legittimo per motivi di riorganizzazione aziendale anche che prevedono l’affidamento delle sue mansioni ad altri dirigenti che occupano un posizione lavorativa non sovrapponibile alla sua.
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Se il dirigente viene licenziato e in azienda e non esiste più un incarico professionale esattamente uguale al suo, pertanto le sue mansioni vengono riassegnate, la chiusura del contratto è legittima. La sentenza 20856/12 parla chiaro respingendo il ricorso di un direttore commerciale licenziato dall’azienda con la rassegnazione delle sue mansioni a due colleghi per la parte operativa, e al direttore marketing per quanto riguarda la gestione del personale.
Secondo la Corte Suprema, quindi, anche in assenza di impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro o di forte crisi aziendale, il licenziamento del manager può avvenire per ragioni oggettive che riguardano comunque le esigenze di riorganizzazione aziendale.
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«Il principio di correttezza e buona fede che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost.» (Cass., n. 3628/2012). La Suprema Corte afferma che, per stabilire se il licenziamento di un dirigente intimato per ragioni di ristrutturazione aziendale sia giustificato, non è dirimente la circostanza che le mansioni da questi precedentemente svolte vengano affidate ad altro dirigente in aggiunta a quelle sue proprie».
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Il licenziamento del dirigente è pertanto consentito in tutti i casi in cui la decisione è stata presa in funzione di una ristrutturazione aziendale dettata da “scelte imprenditoriali non arbitrarie, non pretestuose e non persecutorie”.