Non sussiste un demansionamento se l’azienda decide di sollevare il dirigente dai suoi compiti per ridistribuirli ai colleghi, a patto che la scelta del datore di lavoro sia già orientata al licenziamento.
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Lo stabilisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13918/13, sottolineando come l’azienda sia legittimata a mettere in atto una precisa strategia finalizzata al recesso del rapporto di lavoro (per ottenere un riassetto organizzativo o per esigenze di risparmio), anche se questa prevede lo svuotamento di compiti del dirigente.
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Non potendo classificare il comportamento del datore di lavoro come demansionamento ai danni del dirigente, non è possibile da parte di quest’ultimo ottenere un risarcimento per danni non patrimoniali, tanto più se lo svuotamento delle mansioni si è protratto solo per un breve periodo di tempo.
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«È infatti, giurisprudenza consolidata di questa Corte che in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio dell’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.»