Deve essere considerato illegittimo il licenziamento di un dipendente che ha superato il periodo di comporto se la malattia (in questo caso depressione) è dovuta al mobbing subito in ambito aziendale.
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Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 14643/2013 respingendo il ricorso di una SpA: protagonista della vicenda è una dipendente, impiegata di secondo livello, che aveva dichiarato di essere affetta da stati depressivi e crisi di panico a causa di una serie d comportamenti messi in atto dai suoi datori di lavoro e sfociati nel vero e proprio demansionamento, ritenuto da lei illegittimo e classificato come mobbing.
La Suprema Corte ha accolto le richieste della dipendente sancendo l’illegittimità del licenziamento e riconoscendo le lesioni subite, sottolineando come lo svuotamento di mansioni fosse finalizzato a «rendere la vita impossibile alla dipendente e di costringerla a dimettersi.»
Per quanto concerne il superamento del numero di assenze per malattia, inoltre, la sentenza specifica come in questo caso il datore di lavoro non possa conteggiarle per legittimare la pratica del licenziamento, proprio perché lo stato di salute della dipendente è stato effettivamente compromesso in ambito lavorativo.
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«In tale contesto oppositivo per la lavoratrice i giudici, sia di primo grado che d’appello, hanno ritenuto, con tipica valutazione di merito ad essi devoluta, che le assenze per malattia della lavoratrice fossero dovute all’illegittimo e discriminatorio comportamento datoriale e che quindi non fossero da computare ai fini del periodo di comporto.»